Ecco com’era un torchio di duemila anni fa: la riproduzione nel Foro Boario di Pompei

POMPEI. Tempo di vendemmia al Parco Archeologico di Pompei. L’antica produzione di vino in Campania è stata per secoli un vanto dei contadini non solo pompeiani, proprio per l’altissima qualità della natura del suolo e del clima mite della regione.

La maggior parte delle fattorie portate alla luce ai piedi del Vesuvio, come quella di Boscoreale o la stessa Villa dei Misteri, possedevano quasi tutte impianti specifici per le attività di vinificazione e lo stesso Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia, menzionava la Campania come terra che produceva numerosi e pregiati vini.

A Pompei, inoltre, con l’occasione della vendemmia, è stato possibile vedere la cella vinaria, ubicata alle spalle del vigneto del Foro Boario e l’ambiente produttivo attiguo, che ospita la ricostruzione in legno di un antico torchio per la premitura dell’uva (nella foto di copertina e in basso, nella galleria fotografica).

Entrambi i vani sono stati recentemente anche oggetto di interventi di messa in sicurezza delle coperture. Prima con l’attività di “garden archaeology” promossa da Wilhelmina Jashemski, poi con il lavoro di Anna Maria Ciarallo e oggi con il Laboratorio di Ricerche Applicate diretto da Alberta Martellone, l’ambito degli studi di botanica applicata su Pompei può sicuramente essere considerato un’eccellenza nel panorama delle conoscenze.

Ciò anche per quanto riguarda lo studio degli organici che rivelano la dieta degli antichi, come vivevano, le loro usanze alimentari e quindi uno spaccato incredibile sulla società romana del I secolo d.C.

L’importanza della cooperazione tra pubblico e privato e in questo caso con l’azienda vinicola Mastroberardino, ormai in collaborazione dal 1994, ha permesso di condurre ricerche preliminari sull’impianto e sulla coltivazione dei vigneti dell’antica Pompei, dando vita ad un progetto concreto e proficuo come quello della produzione del vino “Villa dei Misteri”, su un’area che con il corso degli anni è andata sempre più ad espandersi.

Dapprima in un piccolo spazio, oggi con un’estensione che interessa 15 aree a vigneto ubicate nelle Regiones I e II dell’antica città (tra cui Foro Boario, casa del Triclinio estivo, Domus della Nave Europa, Caupona del Gladiatore, Caupona di Eusino, l’Orto dei Fuggiaschi e altri) per un’estensione totale di circa un ettaro e mezzo e per una produzione potenziale di circa 40 quintali per ettaro.

Come in antico, anche oggi a Pompei si vendemmia in tarda stagione, poiché si aspettava che cadessero le foglie dalla vite. All’epoca l’uva veniva pigiata con i piedi, al ritmo di musica o del canto dei pigiatori.

Il mosto veniva poi riposto nelle anfore prima di passare l’uva al torchio. La fermentazione avveniva in grandi giare interrate e potevano passare anche anni prima che questo potesse essere messo nelle anfore.

Inoltre, se si tiene conto dell’odore della pece che impermeabilizzava i grandi contenitori, o dell’odore degli additivi (polvere di marmo, calce o cenere per citarne alcuni), dei profumi o degli aromi che si amava aggiungere alla bevanda (pepe, rosa, miele), appare ben evidente che il sapore del vino è lontanissimo da quello che possiamo immaginare, per non parlare del tasso alcolico che era elevatissimo e invecchiando assumeva un aspetto sciropposo.

Il vino “Villa dei Misteri” prodotto dalla cantina vinicola Mastroberadino con le uve di Pompei, per fortuna, non ha queste caratteristiche, ma ad oggi, tramite la ricerca sul prodotto antico, rappresenta un modo unico per raccontare e far conoscere Pompei con la sua secolare tradizione vinicola, anche in prospettiva di una valorizzazione del territorio, del paesaggio e di tutto l’ambiente vesuviano.

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Alessandra Randazzo

Alessandra Randazzo

Classicista e comunicatrice. Si occupa di beni culturali per riviste di settore.

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