Archeologia e gastronomia si uniscono: ecco il Panis Quadratus

L’iniziativa dell’archeologa Farrell Monaco e di mastro fornaio Carmelo Esposito per realizzare il pane di Pompei

POMPEI. Quando archeologia e gastronomia si uniscono, può accadere sempre qualcosa di straordinario: ad esempio, che l’antico Panis Quadratus che veniva prodotto e mangiato nella Pompei di duemila anni fa possa improvvisamente rinascere, tornare “in vita”, e deliziare i palati di oggi come quelli di un tempo. Ciò accade quando le tecniche antiche di panificazione, apprese nel corso di anni di studi e di ricerche approfondite, vengono messe in pratica utilizzando strumenti moderni e professionali.

Ed il pane dell’antica Pompei, con i suoi solchi sulla superficie, con la sua forma inconfondibile, con il suo profumo “di storia”, è proprio quello che hanno realizzato l’archeologa dell’alimentazione, Farrell Monaco, che di archeologia e di cibo antico se ne intende, e il panificatore da tre generazioni, Carmelo Esposito, che di pane se ne intende. Il risultato? Pezzi di Panis Quadratus proprio come quelli ritrovati carbonizzati negli scavi di Pompei ed Ercolano, simboli dell’immane tragedia che colpì le città all’ombra del Vesuvio nel 79 d.C. La curiosa iniziativa – che per un giorno ha messo d’accordo archeologia e gastronomia moderna – ha avuto luogo lo scorso luglio, ovviamente nel panificio Esposito di via Lepanto, dove Carmelo e suo fratello Nicola sono da sempre dediti all’arte bianca.

L’occasione è stata data da un breve soggiorno in Italia di Farrell Monaco, archeologa canadese (ma residente in California): esperta di archeologia dell’alimentazione, la sua ricerca si concentra sul cibo, sulle tecniche di preparazione e sulle ceramiche legate al cibo nel Mediterraneo romano. Negli ultimi anni ha lavorato in team impegnati in progetti di archeologia alimentare romana a Roma e a Pompei: ogni campagna di studio ha fornito dati importanti sulla vita quotidiana, l’economia, la politica, le abitudini alimentari e l’identità culturale della vita romana classica.

Farrell, oltre a raccogliere e incrociare dati materiali o statistici, si concentra anche sugli aspetti sensoriali della tecnica alimentare. Quando possibile, usa anche le tecniche di preparazione e di cottura romane originali. E così è stato anche per il pane di Pompei. Negli ultimi anni, infatti, la ricerca di Monaco si è incentrata sulle panetterie pompeiane e sulle tipiche pagnotte carbonizzate di “Panis Quadratus” ritrovate nel sito archeologico.

L’archeologa le ha studiate per capire meglio le ragioni della loro forma particolare e il loro livello di produzione nella città antica prima dell’eruzione del Vesuvio. Quindi, seguendo la ricetta ricavata da testi antichi, affreschi e ricerche archeologiche, ha riprodotto il pane pompeiano con l’obiettivo di comprendere il processo di preparazione, le proporzioni degli ingredienti, le caratteristiche del pezzo di pane durante l’impasto, la cottura e… il sapore.

Questa volta “l’esperimento” è stato condotto proprio a Pompei e il pane è stato realizzato sempre secondo le tecniche antiche (i solchi in superficie sono stati ottenuti mediante l’uso di una corda), ma con l’esperienza nella panificazione e con il lievito madre di mastro fornaio Carmelo Esposito (un moderno “pistore”, insomma) e con i mezzi, come il forno, del suo panificio, che ha fatto da supporto “logistico” e organizzativo all’iniziativa di ricreare questo antico alimento, così familiare e diffuso nel mondo, come il pane. Nessun luogo migliore, dunque, per “sfornare” un vero pezzo di storia e far rivivere, così, il sapore della Pompei di duemila anni fa.

Marco Pirollo

Marco Pirollo

Giornalista, nel 2010 fonda e tuttora dirige Made in Pompei, rivista di cronaca locale e promozione territoriale.

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