Al Piccolo Bellini di Napoli la pièce “Memento” del coreografo Niko Piscopo
NAPOLI. Porta in scena il ricordo, la pièce “Memento” del coreografo Niko Piscopo rappresentata al Piccolo Bellini di Napoli il 14 e 15 ottobre 2023 dalla Compagnia Cornelia. “Memento” – che si traduce letteralmente con l’imperativo “ricordati” – è appunto un’esortazione a ricordare, a riesplorare i rapporti e le sensazioni ataviche, a ricercare nel proprio vissuto ricordandone i momenti unici ed universali nella loro singolare trasversalità.
Ha momenti di grande impatto emotivo sul pubblico, “Memento”, pur nel suo essere una performance d’impostazione astratta, fatta di stasi, momenti di sospensione e reiterazioni ossessive, in un eterno ritorno dell’uguale.
Eppure c’è quel nero che veste i danzatori e quella penombra di luce calda che appare e scompare, che conferisce quel sapore profondamente umano ed esistenzialista, ci sono quei capitoli che raccontano momenti che probabilmente nascono dal privato del coreografo, ma che sono di tutti.
C’è la bellissima musica di Arvo Pärt, la plastica qualità di movimento dei danzatori (Nicolas Grimaldi Capitello, Eleonora Greco, Leopoldo Guadagno e Francesco Russo) che in scena non hanno genere, come spesso accade nella danza, ma che sono semplicemente esseri umani. E c’è quella scenografia astratta che li sospende, li eleva, li espone alla precarietà, li accoglie e li porta fuori, li porta in giro e li fa tornare indietro, che si scompone, decompone e ricompone, che riempie e che svuota.
In quei 50 minuti di “Memento” la mente vola lontano, fino a riportare alla memoria la ripetizione ossessiva del gesto tipica dei lavori di Pina Bausch o la drammaturgia astratta di Merce Cunningham, ma anche qualcosa del balletto classico nella struttura che alterna soli, duetti, trittici e momenti d’ensemble: il ricordo, il nostro vissuto, è anche ciò che c’è stato prima di noi e senza il quale non saremmo ciò che siamo.
E così ci troviamo da spettatori di fronte a corse sempre più veloci, frammenti di gesti, sequenze ripetute con ossessione crescente, corpi che si cercano e si sostengono, ma che anche si lasciano cadere o sono indifferenti l’uno all’altro, che a volte si costringono e altre si concedono, che cercano equilibri precari e che li distruggono, regalandoci momenti di rara commozione, suggestioni vivide ed anche l’attesa di qualcosa che non si realizza mai, resta lì, sospesa tra la ricerca e la precarietà.
Con quelle mani dei performer che tendono delicatissimamente verso l’alto come nell’aspirazione a qualcosa di sacro, superiore, lontano, irraggiungibile – come un’ideale aspirazione – e che rapidamente e ripetutamente ricadono verso il basso.
Perché in fondo non c’è niente di raggiungibile per sempre, tutto è transizione, ambizione, desiderio, tutto sfugge e non si concretizza in qualcosa che si possiede, ma resta evanescente, per questo ci si concede alla potenza vivificante del ricordo.
La caratteristica principale di “Memento” risiede nel suo riuscire ad essere contemporaneamente così astratto e formale eppure emotivo e suggestivo, così personale e così universale, nell’avere una sorta di ritualità e nel saper trasfigurare in azione scenica una materia così profondamente umana.