La sezione Magna Grecia del Mann: un “portale della conoscenza” per i tesori del Meridione

Oltre 400 opere raccontano la storia dei popoli che hanno abitato il sud dall’VIII secolo a.C. fino alla conquista romana

NAPOLI. Un’apertura attesa da oltre venti anni e dedicata al professor Enzo Lippolis scomparso nel 2018: il Museo Archeologico di Napoli dallo scorso luglio ha finalmente una sezione dedicata alla Magna Grecia. La collezione chiusa dal 1996 non ha nulla da invidiare alle più conosciute sezioni dedicate all’epigrafia o all’Egitto, ma anzi rappresenta un unicum nel panorama museale internazionale con oltre 400 opere che raccontano la storia, gli usi e i costumi dei popoli che hanno abitato il sud d’Italia dall’VIII secolo a.C. e fino alla conquista romana.

Il progetto di allestimento pone in risalto le dinamiche insediative e di interazione culturale che hanno creato nel corso del tempo l’identità della Magna Grecia; in un ideale percorso a ritroso nel tempo vengono delineati i diversi fenomeni di articolazione e strutturazione sociopolitica, economica e territoriale conseguenti l’arrivo dei Greci sulle coste dell’Italia meridionale e l’innesco dei rapporti tra le singole poleis e le popolazione indigene preesistenti sul territorio.

La narrazione ci porta alle fasi più antiche della colonizzazione greca in Occidente con alcuni reperti provenienti dall’emporion di Pithekoussai e di Cuma, databili tra la seconda metà dell’VIII e gli inizi del VII secolo a.C. che illustrano in maniera chiara i primi contatti tra Greci ed indigeni campani, senza trascurare l’universo mitico e religioso delle città magnogreche, l’architettura sacra e la ricostruzione dei culti locali, fondamentali strumenti di coesione tra genti.

Il percorso continua con una sala dedicata al banchetto nel mondo magnogreco e greco in epoca arcaica e classica. Attraverso una selezione accurata di splendidi vasi attici figurati, si intende restituire un’idea del pasto conviviale comune, delle pratiche e degli usi nell’incontro tra allogeni e autoctoni. Nelle sale successive si passa all’analisi della formazione delle genti italiche che hanno colonizzato alcune parti del sud Italia tra cui campani, sanniti, lucani e apuli, che hanno lasciato importanti e preziose tracce sul territorio e testimonianze concrete attraverso la loro arte figurativa.

Tra questi, significativi sono i materiali provenienti da Ruvo, Canosa e Paestum. Celebri sono le lastre dipinte rinvenute nella Tomba delle Danzatrici scoperte nella cittadina pugliese il 15 novembre 1833. La scena di danza funebre si snoda sulle pareti di una tomba che si data tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a.C., e costituisce ad oggi una delle più alte attestazioni della pittura antica nel sud Italia. Tra gli acquisti apuli della casata borbonica anche paramenti per cavalli, crateri a mascheroni provenienti dall’ipogeo del Vaso di Dario di Canosa e altri vasi colossali, la cui funzione era solo quella di rappresentare le famiglie aristocratiche nel momento della morte.

Uno di questi è il Cratere di Altamura (metà IV secolo a.C.), uno dei più monumentali vasi apuli pervenutoci dal mondo antico e recentemente restaurato dallo staff del Getty Museum: è decorato da una rara ed emblematica raffigurazione del mondo degli Inferi con la dimora di Ade e Persefone insieme ad altri personaggi mitici dell’oltretomba.

Culmine della collezione il territorio della Campania pre-romana. Tra i contesti esposti vi trovano dimora reperti provenienti da Nola e Cales (l’odierna Calvi Risorta nel casertano) che già dal I millennio a.C. rappresentarono luoghi di snodo tra le aree dell’Italia centrale e meridionale, dalla costa tirrenica verso quella adriatica. Tra le opere inserite nel percorso, l’Hydria Vivenzio, uno dei vasi più celebri che il mondo antico ci abbia mai restituito. Acquistato nel 1818 per la somma di 10.000 ducati, l’opera è attribuita al Pittore di Kleophrades e ci restituisce una appassionata rappresentazione della guerra di Troia con lo stupro di Cassandra e la sanguinosa morte di Priamo.

Ogni sala è dedicata inoltre ai grandi studiosi del mondo magnogreco tra cui Paolo Orsi, Umberto Zanotti Bianco e Giovanni Pugliese Carratelli, che hanno saputo intrecciare la preziosa storia archeologica del sud con il riscatto del Mezzogiorno. Ma le meraviglie non finiscono qui. Le 14 sale del Museo attigue al salone della Meridiana, in cui sono ospitati i reperti della sezione Magna Grecia, sono impreziosite da pregiati sectilia a motivi geometrici di età romana, messi in opera nella prima metà dell’800 e sottoposti a continui lavori di restauro e pulizia che ne hanno ridato la vivacità dei colori e delle diverse qualità di marmo. Tra tutti, spicca il pavimento circolare in opus sectile proveniente dal Belvedere della Villa dei Papiri di Ercolano che crea un modernissimo gioco prospettico.

Non è possibile camminare con le scarpe sulle superfici musive e per questo è obbligatorio indossare degli appositi copri scarpe dal costo di 1.50 euro che saranno devoluti per la costante pulizia e manutenzione dei sectilia. I pavimenti sono una traccia significativa della ulteriore ricchezza del Real Museo Borbonico e cominciarono ad entrare nelle collezioni Farnese a partire dal 1826, quando man mano prendevano avvio gli scavi nelle aree vesuviane. E proprio da splendide ville pompeiane, ercolanesi, stabiane provengono questi immensi tesori.

«Abbiamo restituito al Museo Archeologico Nazionale di Napoli una parte fondamentale della sua identità» dichiara il direttore Paolo Giulierini, che aggiunge: «Il riallestimento dopo 20 anni della collezione Magna Grecia, tra le più ricche e celebri al mondo, è l’esito di un vasto piano di interventi per il riassetto dell’ala occidentale dell’edificio destinata ad accogliere le testimonianze dell’epoca preromana. Nelle sale del primo piano che ospitano il percorso espositivo, un’esperienza unica attende il visitatore, che può letteralmente “passeggiare nella storia”».

«Lo farà camminando – aggiunge il direttore – con le opportune precauzioni, sui magnifici pavimenti a mosaico provenienti da Villa dei Papiri di Ercolano, da edifici di Pompei, Stabiae, dalla villa imperiale di Capri, finalmente recuperati e riportanti alla loro magnificenza. La storia dei Greci in Occidente, e quella dei popoli italici con i quali vennero a contatto, torna quindi a passare per il Mann, e mi piace immaginare questa “nuova” sezione come un affascinante “portale della conoscenza” che da Napoli conduca, e sempre più invogli, alla scoperta degli antichi tesori del Mezzogiorno d’Italia».

Alessandra Randazzo

Alessandra Randazzo

Classicista e comunicatrice. Si occupa di beni culturali per riviste di settore.

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