Pompei luogo dell’amore mercenario? Un mito da sfatare
POMPEI. Pompei è stata spesso definita città dell’amore, dedita alle sfrenatezze dell’eros e dissoluta nei costumi. Niente di più falso. Nel tempo questa diceria è stata alimentata erroneamente da miti e leggende nate attorno alla città vesuviana sin dalla scoperta. Oggetti erotici, scritte audaci e quadretti osceni hanno creato il falso mito della città scabrosa, ma a Pompei non si praticava l’amore/sesso né più né meno che in qualsiasi altra città romana.
La libertà sessuale era sicuramente maggiore rispetto ai tabù moderni e i luoghi del piacere non erano assolutamente ritenuti scabrosi. Le prostitute, anzi, svolgevano un ruolo fondamentale nella società, consentendo agli uomini la loro libertà e alle donne di poter rimanere oneste e virtuose secondo il mos maiorum.
La prostituzione non era un crimine e le meretrici svolgevano abbastanza liberamente la loro professione, vendendosi nelle strade (trivia) oppure alle dipendenze di un lenone (uno sfruttatore) in osterie o bordelli. L’abbigliamento di una prostituta doveva dare subito nell’occhio: vesti succinte e trasparenti, trucco marcato e capelli tinti con colori sgargianti come il rosso o il biondo dovevano attirare i potenziali clienti.
Tra i tanti graffiti ritrovati sulle mura di Pompei, ci sono quelli di molte prostitute che esprimevano giudizi sui loro clienti oppure si facevano pubblicità enfatizzando le loro specialità e il prezzo. Le tariffe andavano da un minimo di 2 assi (equivalente ad un bicchiere di vino) fino ad un massimo di 16 assi.
Nel vocabolario latino erano tanti i nomi per indicare le prostitute. Meretrix deriva dal verbo merere, che indicava un guadagno dietro una prestazione; la meretrix non era una prostituta qualunque, ma una cortigiana esperta nell’ars amatoria, nella musica, nella danza e nel canto: una vera intrattenitrice, di solito con un nome esotico, greco o orientale. Spesso chi esercitava era una schiava che veniva da terre lontane o una donna di ceto umile.
Ma vi erano anche delle vere e proprie professioniste come Novellia Primigenia, una mima di Nocera, di cui rimangono circa 20 graffiti a Pompei, che spesso si accompagnava a uomini facoltosi. La lupa, al contrario, era una prostituta di bassa categoria e da qui deriva la parola lupanare (luogo delle lupae).
Esisteva però anche la fornicatrix, che si prostituiva sotto i ponti (fornices); la bustuaria, che esercitava presso i cimiteri, dove c’erano i busti in marmo dei defunti; la circulatrix, che passeggiava ricercando i clienti.
Solitamente, il ceto sociale dei clienti era medio; i ricchi potevano liberamente disporre di schiavi e schiave che avevano nelle loro domus. Curioso è scoprire che il 23 aprile il calendario romano prevedeva una festa dedicata alle prostitute e il 25 aprile, invece, la festa era per i maschi che si prostituivano. Non era raro, infatti, trovare ragazzi che vendevano il loro corpo: l’omosessualità di per sé era accettata.
Quello che non veniva accettato era che un uomo, un vir, si sottomettesse passivamente ad un altro uomo di ceto inferiore, essendo che la virilità, a Roma, si identificava con l’assunzione di un ruolo attivo nel rapporto sessuale. A Pompei vi sono diverse testimonianze di uomini dediti alla prostituzione: un graffito ci restituisce le scritte di un tale Menander che pubblicizzava le sue prestazioni, con relativo tariffario.
Il numero dei posti dove si praticava la prostituzione a Pompei è incerto, perché spesso si è attribuito il nome di lupanare a luoghi dove erano presenti solo graffiti osceni, facendo lievitare il numero dei postriboli a 34: dato senz’altro spropositato sia per la grandezza (comunque modesta) della città e sia per il numero di abitanti.
Il meretricio si praticava non di rado anche in esercizi aperti al pubblico e destinati all’alloggio o alla ristorazione (come le cauponae, famosa quella di Asellina), oppure nelle cellae meretriciae che erano un unico vano con il letto in muratura, o ancora in luoghi privati affittati a lenoni. Luogo tra i più visitati dai turisti, tuttavia, è sicuramente il Lupanare (VII,12,18) sorto sin dall’inizio con lo scopo specifico di ospitare prostitute.