Ritrovato nella villa di Civita Giuliana l’arredo di una stanza degli schiavi di Pompei
POMPEI. Gli archeologi del Parco archeologico di Pompei, grazie all’osservazione sapiente dei particolari di ambenti abitativi, abbinata all’esperienza professionale, animano il “telling” sulle consuetudini di vita nell’antica Pompei. Operazione che, grazie alla tecnica dei calchi, restituisce forme reali agli oggetti e ai mobili che avevano lasciato le loro impronte nella cenere eruttiva del Vesuvio, di un ambiente servile rinvenuto recentemente nella villa romana di Civita Giuliana, a circa 600 metri dalle mura dell’antica Pompei.
L’arredo di una stanza riservata agli schiavi disegna un contesto di precarietà e subalternità di 2000 anni fa, ricostruito con la tecnica dei calchi, che utilizza il gesso per riempire i vuoti lasciati nel terreno dalla materia organica decomposta.
La nuova stanza si presenta diversa da quella precedentemente scavata e restaurata dal Parco archeologico di Pompei. Dall’ordine e dalla forma degli arredi emerge un ordine delle cose che fa pensare a una gerarchia all’interno della servitù.
Difatti mentre uno dei due letti trovati recentemente è della stessa fattura di quelli precedenti, più semplici ed umili e senza materasso, un altro letto è più confortevole nella forma, del tipo di “letto a spalliera”. Nella cinerite sono ancora visibili le tracce di decorazioni color rosso su due delle spalliere.
Oltre ai due letti, nell’ambiente recentemente scavato ci sono due piccoli armadi, anch’essi conservati parzialmente come calchi, una serie di anfore e vasi di ceramica e diversi attrezzi, tra cui una zappa di ferro.
Lo scavo dei vasi e delle anfore dell’ambiante precedente ha nel frattempo rilevato la presenza di almeno tre roditori: due topolini in un’anfora e un ratto in una brocca, posizionata sotto uno dei letti e dalla quale sembra che l’animale cercasse di scappare quando morì nel flusso piroclastico dell’eruzione. Dettagli che sottintendono le condizioni di precarietà e disagio igienico in cui vivevano gli ultimi della società pompeiana durante il primo secolo dopo Cristo.
L’esplorazione archeologica della villa di Civita Giuliana, già oggetto di scavi nel 1907-08, ebbe inizio nel 2017 sulla base della collaborazione tra il Parco Archeologico di Pompei e la Procura della Repubblica di Torre Annunziata, che insieme ai Carabinieri aveva scoperto e perseguito l’attività di scavi clandestini nell’area della Villa.
«Quanto ricostruito conferma la necessità di proseguire la ricerca scientifica in un luogo che, grazie all’opera della Magistratura e dei Carabinieri, è stato strappato al saccheggio e al traffico illecito di beni archeologici per raccontare momenti notevoli della vita quotidiana dell’antichità» ha dichiarato il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.
«Sappiamo che i proprietari usavano diversi privilegi, tra cui anche la possibilità di formare una famiglia, per legare alcuni schiavi più strettamente alla villa, anche con la finalità di averli come alleati nel sorvegliare gli altri della servitù, che doveva impedire fughe e forme di resistenza: difatti mancano tracce di grate, lucchetti e ceppi» spiega il direttore del Parco Archeologico, Gabriel Zuchtriegel.
«Siamo impegnati a continuare le ricerche e progettare la fruizione di un luogo che, come nessun altro del mondo antico racconta la quotidianità degli ultimi» ha continuato il direttore, anticipando la notizia che nell’occasione della riapertura dell’Antiquarium di Boscoreale sarà allestita una sala per informare il pubblico sugli scavi in corso nella villa di Civita Giuliana.
Per il direttore generale dei Musei, Massimo Osanna «Le ricerche a Civita Giuliana sono un esempio virtuoso di tutela e valorizzazione del nostro patrimonio. Una salda collaborazione tra il Ministero della Cultura, la Procura di Torre Annunziata e le forze dell’ordine hanno già permesso di riportare alla luce un complesso imponente e i suoi straordinari arredi, tra cui il carro della sposa».