I giochi gladiatori nell’Anfiteatro: una vera passione nella Pompei antica

POMPEI. A Pompei, come in qualsiasi altra città dotata di un anfiteatro, la popolazione nutriva una vera e propria passione per i giochi, per i gladiatori e per gli spettacoli più cruenti. La vasta documentazione epigrafica che ci è pervenuta non manca di graffiti riguardanti il tifo per uno o per l’altro campione, ma anche di apprezzamenti femminili sulla loro fisicità.

Il ritrovamento di un corpo di donna ingioiellato, vittima dell’eruzione, nella Caserma dei gladiatori di Pompei ha ben alimentato la letteratura di storie romantiche tra ricche matrone e gladiatori. I ludi gladiatoria furono certamente lo spettacolo più cruento che l’antichità ci abbia fatto conoscere ma, contrariamente a quanto si crede, non era finalizzato alla morte, anche perché allenare un gladiatore doveva costare non poco ad un impresario.

La morte poteva sopraggiungere in due modi: o durante il combattimento nell’arena o nel caso che l’editor o il pubblico si rifiutasse di concedere la grazia al gladiatore perdente; questa era un’eccezione e accadeva solo se il gladiatore non aveva combattuto abbastanza da far divertire gli spettatori o si era mostrato meschino e vile.

Sempre attraverso i graffiti pompeiani, è stata possibile una verifica degli esiti dei combattimenti: con la lettera “V” si indicava la vittoria, con la lettera “M” la sconfitta con grazia ricevuta, con la “P” la morte. Dai resoconti risulta che nei 32 combattimenti attestati quasi tutti gli sconfitti vennero graziati (missus est) e che i morti furono solo sei.

Oltre ai graffiti, Pompei ci restituisce anche gli edicta munerum, cioè i programmi che annunciavano gli spettacoli previsti nell’Anfiteatro. Come i manifesti elettorali, questi venivano dipinti sui muri delle case o delle taverne e i più numerosi si trovano sulla via principale della città, Via dell’Abbondanza.

I manifesti erano strutturati in maniera tale che comparisse il nome dell’editor muneris, il numero delle coppie di gladiatori che si esibivano, questo variava da 10 a 49, con una prevalenza di spettacoli da 20 coppie, probabilmente numero standard per questo genere di combattimenti.

A volte era motivata anche l’occasione per cui lo spettacolo si svolgeva, come l’inaugurazione di un edificio importante, oppure semplicemente pro salute imperatoris (in onore dell’imperatore) e venivano elencati anche i comfort offerti agli spettatori come la presenza del velarium, che in estate spesso evitava svenimenti ed insolazioni.

Nell’Anfiteatro di Pompei, inoltre, gli spettacoli con animali si dovevano limitare ad esemplari di fauna locale, come l’orso contro il quale combatté Felice; leoni, pantere, elefanti e ogni altro animale esotico pericoloso erano riservati ad arene più importanti, tanto più che l’anfiteatro pompeiano aveva un parapetto di protezione dell’arena di soli 2,18 metri, troppo pochi per un’adeguata frenata dello slancio delle belve.

Quella da frenare, invece, era la passione per questi spettacoli che nel 59 d.C. portò ad una rissa epocale a Pompei, tanto da essere raccontata da Tacito nei suoi Annales (Ann., XIV,17) e di cui abbiamo quasi un’immagine fotografica in un affresco (foto) esposto oggi al Museo Archeologico di Napoli.

Durante uno spettacolo di gladiatori, organizzato da Livineio Regolo su iniziativa del Senato, scoppiò una rissa tra pompeiani e nocerini. “Prima – scrive Tacito – come capita spesso nelle piccole città, gli spettatori si derisero a vicenda scagliandosi insulti e volgarità; poi passarono alle pietre e infine alle armi. I tifosi di Pompei, più numerosi dato che lo spettacolo si teneva in casa loro, ebbero la meglio. Molti tifosi di Nocera furono riportati a casa pieni di ferite e molti piansero la morte di un figlio o un genitore”.

La rissa, però, differentemente da quanto riportato da Tacito, sembra che sia scoppiata per un malcontento dei pompeiani per la deduzione della colonia di Nocera da parte di Nerone e la conseguente distribuzione dei territori di Stabiae alla nuova città, su cui Pompei da tempo sperava di mettere le mani.

A diffondere il malumore contribuì Livineio Regolo che sperava, attraverso questi giochi, di fomentare la massa e portare la questione a Roma. Ovviamente tutto questo non avvenne e per la gravità dell’accaduto la sola cosa che ottenne Pompei fu la squalifica dell’anfiteatro per 10 anni e l’esilio per coloro che avevano capeggiato i disordini. (Foto di copertina: Archeoteatro Pompeiano).

Alessandra Randazzo

Alessandra Randazzo

Classicista e comunicatrice. Si occupa di beni culturali per riviste di settore.

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