Correva l’anno 1945: il primo discorso di Romualdo Federico nel Palazzo comunale di Pompei

POMPEI. Avevamo cercato nell’anniversario della Costituzione un documento di politica locale da pubblicare come testimonianza dello spirito di esultante pacificazione e determinazione costruttiva dei pompeiani alla collaborazione civile per la ricostruzione della democrazia ed al sentimento di rinata partecipazione democratica dopo la seconda guerra mondiale e la morte di Hitler, che ha sancito anche la fine del regime fascista in Italia e la volontà della rigenerazione costituzionale del Paese.

A proposito della nostra intenzione, l’amico architetto Federico Federico Libero Italico ci ha fatto leggere il primo discorso di suo padre, Romualdo Federico (in piedi davanti al microfono nella foto in alto), già presidente del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) mariano e successivamente commissario prefettizio del governo provvisorio, nonché commissario nominato dal Comando Alleato che, successivamente, confermato dal Governo di unità nazionale, assunse le funzioni di sindaco di Pompei.

Lo condividiamo volentieri con i lettori, convinti del riscontro oggettivo che potranno trarne della volontà di pacificazione generale che lo caratterizza, pur nell’ambito di una precisa scelta di campo del personaggio, convinti che la sua forza di persuasione influenzò la moderazione del clima sociale pompeiano del secondo dopoguerra.

 

Conferenza tenuta al Palazzo Comunale di Pompei il 7 Maggio del 1945
di Romualdo Federico

Cittadini, compagni,
La guerra contro il secolare nemico della civiltà e dell’Italia è finita. I nostri cuori esultano di gioia in questo momento epico; la commozione e l’entusiasmo ci vince, tutto il nostro essere è pervaso da una felicità infinita. La lieta novella è giunta a noi oggi, in questo Maggio veramente radioso, Maggio di fiori, di Pace, di Vittoria. Quell’esercito che ha apportato alla nostra amata Patria e al mondo intero tante distruzioni, tante miserie, tanti lutti, scompaginato e disfatto, ha ceduto le armi alla potenza e al valore degli eserciti Alleati.
Vada dunque la nostra riconoscenza infinita ai soldati della lontana America e dell’Inghilterra, ai soldati della Russia Sovietica che, meravigliando il mondo intero, hanno tanto contribuito alla vittoria, ai soldati della Francia tanto grande e tanto sventurata e a tutti gli altri che hanno dato il loro contributo alla vittoria sulla Germania nazista e sul dispotismo fascista.
Ad essi, che hanno lasciato ovunque tanti morti sul suolo italiano ed alle loro madri, vada la nostra gratitudine imperitura e sia ad esse di conforto il pensiero che i loro figli sono morti per una causa santa. Il dispotismo che ha tenuto per oltre un ventennio l’Italia sotto i propri artigli è finito per sempre. Ancora sanguinanti sono le ferite che Le sono state inferte da questa terribile guerra, che il popolo italiano non volle e a cui fu trascinato da un megalomane folle e da altri pochi irresponsabili.
La nostra Patria esce da questa spaventosa guerra martoriata e gravemente ferita. Tutto ciò che era per noi più utile, più bello, più sacro è stato distrutto e dovunque sono ancora le tracce di questo terribile uragano che si è abbattuto sulla nostra terra.
È dovere adesso di tutto il popolo Italiano, di tutto il nostro popolo laborioso e tenace, di pensare alla ricostruzione di tutto ciò che è stato studiatamente distrutto dalla barbarie teutonica e dalla incoscienza fascista. Molto c’è da rifare, molto da ricostruire in questa dolorante Italia: case, ponti, ferrovie, stabilimenti, industrie. Dobbiamo avere fiducia nelle nostre forze e nella nostra ferma volontà.
Non chiederemo elemosine agli Alleati, ma prestiti. E se avremo la forza di mantenerci saldamente uniti, senza che alcuna discordia divida il popolo italiano, noi salveremo l’Italia, facendola rientrare nel novero delle grandi nazioni libere e democratiche.
La nuova Italia che risorgerà dalle rovine ancora fumanti, sarà l’Italia veramente democratica, come la sognarono i grandi spiriti di Giuseppe Mazzini e Garibaldi; come la volevano, e per essa morirono, Giacomo Matteotti e Giovanni Amendola, Antonio Gramsci e don Minzoni, Nello e Carlo Rosselli.
Cittadini, perché ciò avvenga, perché veramente risorga una nuova Italia, occorrono grandi riforme, politiche, sociali, economiche. Tutto ciò che puzza di vecchiume e che ha trascinato l’Italia a tanta rovina dovrà scomparire. Ora, una nuova Italia può e deve nascere. Un’Italia indipendente e libera che, avendo come protagonista e guida il popolo, marcerà sicura sulla via della resurrezione.
Accompagneranno la nostra faticosa rinascita democratica gli spiriti grandi della nostra patria. “Ad egregie cose l’animo accendono l’urne dei forti” e lo spirito di Dante, di Francesco d’Assisi, il grande santo degli Italiani, lo spirito multanime del grande Michelangelo, di Leonardo da Vinci, del Foscolo, del Carducci e di tutti i martiri, ci assisteranno nella ricostruzione materiale e morale della nuova Italia democratica, che esce da questo secondo Risorgimento più temprata che mai.
E qui penso che forse le sciagure vengono per provare una famiglia o un popolo, per meglio ritemprarli e per far conoscere ancora meglio se stessi, mettendo alla prova la propria capacità. Alle valorose truppe Alleate, come ho detto poco prima, va la nostra infinita riconoscenza e ai patrioti italiani, che si sono battuti da eroi e che, sprezzanti del pericolo, hanno vissuto una epopea leggendaria.
Ad essi, che per diciotto lunghissimi mesi, uccel di bosco hanno affrontato il freddo, la fame, le privazioni di ogni sorta e le torture, va la gratitudine imperitura della Madre Patria. Ai nostri morti, a tutti i morti di terra, di mare, di cielo, vadano le benedizioni di tutte le madri, delle spose, delle sorelle, che hanno sofferto per i propri cari, e di tutti quelli che, pur nella miseria apportata loro da questa guerra fratricida, possano senza alcun timore riprendere il travaglio usato e ricostruirsi un nido per i propri affetti familiari.
Da questo momento, o cittadini, per l’Italia e per il mondo comincerà una novella storia.
Viva gli eserciti “anglo-alleati”!
Viva i nostri gloriosi “patrioti”!
Viva l’Italia democratica!

Note Biografiche su Romualdo Federico. Romualdo Federico (nipote del parroco Gennaro Federico, amico e primo tesoriere di Bartolo Longo) nasce a Valle di Pompei, allora frazione di Scafati, il 28 febbraio 1901. Giovanissimo aderisce al movimento anarchico, in chiave pacifista contro la Grande Guerra del 1915-1918, ma i genitori preoccupati lo spediscono in Sicilia, presso parenti, a stemperare i suoi bollenti spiriti giovanili.

Tornato a casa, si diploma e poi si laurea in Agraria. Subito dopo è nominato direttore dell’importante Istituto Superiore Agrario di Ponticelli. Poi vince il concorso nazionale a preside degli Istituti agrari, divenendo così giovanissimo preside prima a Sarno e poi nella sua amatissima Scafati, ove rimane fino alla pensione, educando centinaia di giovani ai valori della libertà.

Antifascista per animo e per scelta, vive il Ventennio in collegamento con gli ambienti massonici e liberaldemocratici, già sostenitori di Giovanni Amendola, esule in Francia, deputato di origine sarnese e padre del leader comunista Giorgio. Romualdo Federico era vicino al Partito d’Azione e frequentatore di riunioni clandestine scafatesi nell’ammezzato retrobottega della farmacia del vecchio amico Francesco Bottone, ove si ascoltava Radio Londra ed i suoi messaggi criptati.

Con la fine della seconda guerra mondiale viene nominato presidente del CLN a Pompei, poi commissario prefettizio dal governo provvisorio, dando prova di equilibrio ed equità nel turbolento immediato dopoguerra, che a Pompei viene vissuto senza eccessi o vendicative rese di conti a destra e sinistra. Eletto nel 1945 primo sindaco di Pompei dopo il fascismo, diventa nuovamente sindaco con la Lista Bartolo Longo dal 1955 al 1956.

Poi la Dc rimonta e prevale, nonostante i suoi personali grandi consensi elettorali. Alle amministrative del 1964 risulta ancora una volta primo tra gli eletti in consiglio comunale, ma rimane deluso dalla grande vittoria elettorale della Dc dei rampanti Enzo Romano, Raffaele Mancino e Antonio Arpaia. In seguito rifiuta ogni altro impegno istituzionale e vive appartato dall’agone politico fino al 1986.

Mario Cardone

Mario Cardone

Ex socialista, ex bancario, ex sindacalista. Giornalista e blogger, ha una moglie, una figlia filosofa e 5 gatti. Su Facebook cura il blog "Food & Territorio di Mario Cardone".

2 pensieri riguardo “Correva l’anno 1945: il primo discorso di Romualdo Federico nel Palazzo comunale di Pompei

  • 6 Maggio 2024 in 13:46
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    Amarcord: i Primi Cittadini di Pompei dal 1928 al 1955
    Viaggio tra i podestà, i commissari e i sindaci che hanno amministrato il Comune
    di Luigi Donnarumma
    Il 17 dicembre del 1927 fu una data storica, potrebbe chiamarsi il Natale di Pompei. Infatti il Consiglio dei Ministri approvò la proposta della Costituzione del nostro Comune; successivamente, Benito Mussolini così si espresse nei riguardi di Valle: «Sotto il nome di “Pompei” risorgerà per opera del governo fascista, restauratore dei valori primigeni della stirpe, la vecchia città pagana, soddisfacendo un sentimento profondo di carattere religioso e culturale delle popolazioni sorte intorno al santuario di fama ormai mondiale».
    Il 4 febbraio 1928 Benito Mussolini, capo del Governo e in quel momento capo del Dicastero degli Interni, leggeva al Senato la relazione che illustrava il disegno di legge e… finalmente, il 29 marzo 1928, il territorio, con la legge n. 621, fu riconosciuto Comune autonomo sotto il nome di “Pompei”, grazie all’interessamento di Fratel Adriano di Maria, direttore dell’Ospizio, educatore, fratello delle Scuole Cristiane. All’epoca il territorio contava poco più di 7.000 abitanti, per lo più contadini. Da quel giorno si sono succeduti sindaci, commissari prefettizi e podestà, ma nessuno più ne ha memoria. Neppure nelle aule di palazzo de Fusco sono stati mai ricordati in doveroso elenco cronologico. Vorrei tentare di farlo su queste pagine, con la speranza di smuovere quelle menti distratte affinché prendano consapevolezza dell’importanza del recupero della memoria storica cittadina, base di cultura e identità. Ricorderò, per ora, solo i nomi dei primi cittadini che, dalla costituzione di questo Comune, si sono succeduti fino al 1955, quando il sindaco di quell’epoca finì i suoi giorni durante il suo mandato.
    Il primo fu il dr. Giulio Carone, nominato Commissario prefettizio il 2 aprile 1928. La prima sede del neo Comune fu nell’odierna via Vittorio Emanuele III. Si trattava di una stanza e due stanzini di proprietà della Sig.ra Francesca d’Agostino, moglie di Bartolo Longo, figlio di Alceste e Anna Fuortes, già in fitto al Comune di Scafati.
    26 settembre 1928 – L’Alto Commissario per la Provincia di Napoli, nomina Il cav. Rag. Giuseppe Fucci, nato a Senise (Potenza) l’8 Settembre 1876, commissario prefettizio del comune di Pompei.
    Aprile 1932 – Il Notaio cav. Angelo Bianchi fu nominato commissario prefettizio, poi podestà.
    Settembre 1936 – Avv. Francesco Schettini, fu nominato podestà e restò fino al settembre 1937.
    Settembre 1937 – Cav. Dr. Armando Ardias fu commissario prefettizio e, dal 1939, podestà fino al 1941.
    1941 – Dr. Luigi Arpaia fu nominato podestà fino a dicembre dello stesso anno.
    Dicembre 1941 – Dr. Igino Flamini, fu nominato Commissario prefettizio fino al febbraio del 1943;
    Febbraio 1943 – Comm. Giuseppe Balsamo, proprietario del pastificio omonimo, fu nominato Commissario Prefettizio fino al novembre 1943.
    Novembre 1943 – Con l’arrivo delle forze Anglo-americane s’insediò il Governo provvisorio, composto da tutti i partiti che formavano il Comitato di Liberazione, dando un nuovo assetto alle amministrazioni locali. Nel Comune di Pompei venne nominato sindaco il Prof. Romualdo Federico essendo sparita, con la caduta del fascismo, la figura del podestà.
    5 maggio 1944 – il prof. Romualdo Federico fu il primo Sindaco di Pompei nominato dal prefetto di Napoli. La sua nomina fu sostenuta da Giuseppe Fucci.
    1° aprile 1946 – Eduardo Santilli – 2° sindaco di Pompei, ma il 1° sindaco nominato dal consiglio comunale, dopo le elezioni amministrative; Va ricordato che queste furono le prime elezioni in Italia alle quali le donne furono chiamate a votare. Fu la prima amministrazione democratica della città di Pompei.
    12 agosto 1948 – Dopo uno scontro in maggioranza si dimise il sindaco Eduardo Santilli, accusato di irregolarità amministrative.
    12 settembre 1948 – Luigi Morlicchio fu eletto 3° sindaco di Pompei con 16 preferenze.
    11 giugno 1952 – 4° sindaco di Pompei fu l’ing. Ernesto Marotta, nato a Pompei il 3 Settembre 1888 (laurea in Ingegneria presso il Politecnico di Napoli, partecipò alla guerra del 1915-18);
    31 maggio 1955 – Ernesto Marotta morì quando ancora ricopriva la carica di sindaco. Presago del suo destino soleva spesso ripetere: «Assolverò il mio mandato di primo cittadino scrupolosamente, dovesse costarmi la vita». Marotta fu un pompeiano che amava tanto la sua città; l’intensa attività amministrativa a cui fu sottoposto gli logorò fatalmente il fisico. Ammalato, pensò di dimettersi non riuscendo più ad assolvere ai suoi compiti, ma resistette fino alla morte. Alla notizia della sua scomparsa la città restò profondamente addolorata. Marotta lasciò di sé il ricordo di un uomo onesto e di alta dirittura morale.
    (… continua) …tratto da Made in Pompei del 2015 Luigi Donnarumma

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