Pompei, si rinnova il taglio delle uve nella Casa del Triclinio Estivo
POMPEI. «Gli antichi romani mischiavano il vino, non lo bevevano puro: aggiungevano del miele e diventava “mulsum”, oppure aggiungevano resina e diventava vino “resinoso”». A svelare l’aneddoto è Mattia Buondonno, guida ufficiale degli Scavi, in occasione dell’appuntamento con la vendemmia nell’antica Pompei.
«Plinio il Vecchio ci dice – aggiunge ancora la guida – che il vino che costava tantissimo, oltre al Falernum, era anche il vino greco, il vino di Kós, e ci racconta che uno schiavo tracannava il vino quando il dominus non c’era e poi riempiva di nuovo l’anfora fino all’orlo con acqua salata: riuscì a creare una miscela unica e questo vino era costosissimo».
Nell’area archeologica, lo scorso ottobre ha avuto luogo, al cospetto di giornalisti, turisti o semplici appassionati, il tradizionale taglio delle uve nei vigneti della Casa del Triclinio Estivo.
Il progetto nasce, in via sperimentale, nel 1994 su un’area limitata degli scavi, grazie ad una convenzione tra la Soprintendenza e l’azienda vitivinicola campana Mastroberardino che, oltre a prendersi cura dei vigneti, produce il pregiato vino Villa dei Misteri.
Oggi, invece, le aree interessate comprendono tutti i vigneti delle Regiones I e II dell’antica Pompei, per un’estensione di più di un ettaro, ripartito su 15 appezzamenti di diversa estensione e per una resa potenziale di circa 30 quintali d’uva.
Il vino Villa dei Misteri, prodotto con uve Piedirosso e Sciascinoso, presenta caratteristiche uniche in quanto realizzato secondo le tecniche di viticoltura di duemila anni fa.
Si stima una produzione di circa 1.800 bottiglie l’anno (per lo più già prenotate dai più prestigiosi ristoranti del mondo) che sul mercato possono arrivare a costare anche 200 euro ciascuna.
Oltre ad essere un vino eccellente, il Villa dei Misteri rappresenta un modo per raccontare e far conoscere Pompei con la sua cultura e la sua tradizione antica.
L’attività fa parte dal punto di vista scientifico di uno dei tanti studi condotti dal Laboratorio di Ricerche Applicate della Soprintendenza che, da sempre, analizza le relazioni tra botanica e archeologia.