Analisi e ricerche nell’Insula Occidentalis di Pompei

POMPEI. La conferenza organizzata lo scorso maggio presso l’Auditorium del Parco Archeologico di Pompei dall’associazione internazionale “Amici di Pompei”, tenuta dall’archeologo Mario Grimaldi e dall’architetto Paolo Mighetto, Rup del cantiere di restauro da avviare nell’Insula Occidentalis di Pompei, è stata occasione di riflessioni e considerazioni su un complesso urbanistico integrato di particolare rilievo.

Quindici anni di scavi (2004-2019) e le relative conclusioni interdisciplinari (messa in sicurezza, paleobotanica, archeologia e geofisica, nonché al restauro, alla conservazione) hanno consentito finora di chiarire in parte la composizione dell’intero quartiere.

Una piccola città nell’antica Pompei che deve considerarsi un prosieguo dell’Insula Meridionalis, divise dalla cerniera di Porta Marina. L’indagine archeologica è partita parallelamente all’Insula Occidentalis nella Villa Imperiale.

La particolare complessità del quartiere occidentale di Pompei dipende da una serie di fattori che influiscono sull’esatta percezione degli elementi di contesto che si fondono in un blocco unico. La struttura originaria della costruzione è di epoca sannitica, restaurata in età augustea. Si presenta al primo approccio come un conglomerato di tre edifici (Casa di Marco Fabio Rufo, Casa di Castricio e Casa del Bracciale d’Oro).

In un secondo tempo è stato verificato che il quartiere turrito era provvisto di una porta dotata di specus, come tutte le altre porte di Pompei. Nel quartiere era inglobato lo spazio pubblico e le domus si inseriscono nell’urbanistica pubblica allo stesso modo che le mura sono parte dei giardini.

L’intero complesso è stato ricoperto dal materiale eruttivo del 79 d.C. quando si trovava in parziale abbandono a causa dei danni del terremoto del 62 d.C., mentre in altra parte erano in corso opere edili per la loro trasformazione da residenze prestigiose a pertinenze operative.

In quel periodo, probabilmente, le case furono vendute dai proprietari storici a soggetti meno facoltosi. Difatti le trasformazioni si rivelarono riduttive per qualità e valore delle case. Un sistema a cisterna costruito lungo le strade per lo smaltimento idrico ha indotto l’espediente della creazione di pozzi, allo scopo di smaltire le acque gradatamente.

Le ristrutturazioni degli ambienti interni prevedevano il distacco degli affreschi e delle decorazioni dalle pareti, lasciando in sito solo l’affresco centrale. Successivamente la ricollocazione dei pezzi staccati non seguiva l’ordine originario. I giardini sopraelevati venivano costruiti coi  materiali di risulta e si estendevano parzialmente oltre le mura.

Molti degli spazi pubblici, come il vicus di transito e le stesse mura, vennero privatizzati grazie al potere della committenza imperiale degli Eupri (liberti della gens Iulia). Il rinvenimento di scheletri sul posto ha fatto dedurre, dal loro numero, che la casa più abitata era probabilmente quella del Bracciale D’Oro, dove fu trovato anche un sacchetto di monete e il sigillo di Marco Fabio Rufo, che ha fatto dedurre che fosse lui il proprietario di quella domus.

Probabilmente l’area in prossimità della Casa del Bracciale d’oro era occupata da un santuario, considerato il  materiale sacro in dispersione che vi è stato rinvenuto (tra cui statuette di Atena a testimonianza della probabile dedicazione della porta scavata alla base delle mura). Vicino alla porta sono stati rinvenuti reperti (macchine da combattimento) segni evidenti della guerra sociale.

Con Maiuri fu adottata la strategia di non indugiare nella ricostruzione dell’Insula Occidentalis allo scopo di scongiurare (almeno in parte) la progressiva spoliazione della struttura dei mosaici e dei dipinti, utilizzati nei primi allestimenti del Museo Ercolanese e successivamente di quello Nazionale.

Lo sguardo intrecciato delle varie discipline scientifiche di supporto all’archeologia ha consentito di osservare il sito pompeiano da diverse angolazioni, concorrendo ad un significativo avanzamento del quadro conoscitivo del Suburbio occidentale di Pompei, che forma un’area strategica con alcuni dei principali ingressi alla Pompei antica.

In tale ottica dobbiamo interpretare il senso dell’intervento di Paolo Mighetto, teso da un lato a proseguire la conoscenza sull’intera struttura (e dei dettagli) per un oculato intervento. Su diverso versante sarà, con l’intervento, necessario lasciare in vista i segni della trasformazione della struttura nelle diverse fasi di vita e trasformazione edile.

Tutto l’intervento dell’architetto Mighetto è partito dal presupposto che il cantiere edile di messa in sicurezza di un monumento archeologico deve assumere la conoscenza preesistente e, allo stesso tempo, contribuirvi con eventuali osservazioni sul campo e nuove ricerche avviate a scopi operativi.

Difatti lo studio di fattibilità ha fatto individuare nuove parti dell’Insula Occidentalis di Pompei. Oltre alle domus di Fabio Rufo, Castricio e Bracciale d’Oro sono infatti state scoperte la Casa della Biblioteca e un edificio pubblico battezzato come “Casa della Concordia Auspicata”, dalla soglia ivi rinvenuta con la scritta a mosaico “Litigare noli”.

Il diverso impatto di natura eruttiva (e quello alluvionale) aiuta a comprendere, a partire dalla Casa di Castricio, i diversi stati di conservazione dei fabbricati. Allo stesso modo si spiegano le differenze rilevate tra Insula Occidentalis e Insula Meridionalis.

È stato ribadito, nello specifico, che il restauro non deve eliminare i segni di cambiamento dovuti ad elementi naturali o ad interventi di trasformazione e di manutenzione edile, ma evidenziarli per dimostrare la tenuta (e la trasformazione) delle rovine archeologiche nel tempo. Nello stesso tempo, a seconda dei fattori di maggiore interesse, vanno selezionati i diversi livelli (o itinerari) di percorrenza interna. Nello specifico ne sono stati contati sei.

Allo stesso tempo, nel progetto di cantiere è presente l’intenzione di mantenere nell’Insula Occidentalis una cellula originale (restaurata) per dare l’idea al visitatore di come si presentava il sito all’atto del ritrovamento e come si è successivamente modificato.

Tra il terremoto del 62 d.C. e l’eruzione del 79 d.C. c’è stata l’affermazione di una nuova classe sociale con cambiamenti nell’urbanistica e nell’edilizia privata, e uno sciame sismico. Si tratta di fattori di cambiamento che hanno lasciato tracce che bisogna conservare, come quella della doppia cinta muraria composta da calcare sannitico e tufo di Nocera.

Si tratta, in questi casi, di mettere in evidenza il diverso materiale utilizzato nelle varie fasi nel corso del tempo. Oltre ai cambiamenti dovuti agli elementi naturali e alle trasformazioni bisogna tener conto degli effetti determinati dal bombardamento Alleato del 1943.

Per esempio, nella Casa della Biblioteca caddero tre bombe che, esplodendo tra i lapilli, hanno creato un crollo delle pareti dell’edificio che si presenta diversamente dal crollo eruttivo nella cinta muraria esterna, trasformata in balaustra di terrazze. Liberando dalla parte del podio il materiale eruttivo nelle aperture della cinta muraria esterna avviene le trasformazione in balaustre delle terrazze che si affacciano sul Golfo di Napoli.

Alla fine si cerca sempre di proporre (nell’Insula Occidentalis come altrove) un restauro che cerchi, tra l’altro, di raccontare le varie fasi eruttive. Sono i dettagli che incuriosiscono il visitatore, lasciando immaginare vicende passate. È il caso di un pavimento a mosaico, in crollo dal piano superiore, che presenta ancora, appoggiato ad esso, una cassetta dei lavori, contenente lastre di marmo che dovettero evidentemente servire per il suo restauro.

Mario Cardone

Mario Cardone

Ex socialista, ex bancario, ex sindacalista. Giornalista e blogger, ha una moglie, una figlia filosofa e 5 gatti. Su Facebook cura il blog "Food & Territorio di Mario Cardone".

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