“La Nona”: l’umanità in transito di Roberto Zappalà

NAPOLI. All’inizio si resta un po’ perplessi: una danzatrice propone una sequenza di movimento, le si aggregano un po’alla volta gli altri, fino a che in scena c’è tutta la compagnia a riproporre la medesima sequenza sempre più velocemente.

È sicuramente d’effetto e rende bene l’idea del riconoscimento dell’altro e dell’aggregazione, ma sa di soluzione scenica ultra-abusata e le aspettative su Roberto Zappalà sono sempre molto alte.

Lo spettacolo in questione è La Nona, in scena al Teatro Bellini di Napoli venerdì 8 e sabato 9 dicembre 2022 e già vincitore del Premio Danza&Danza 2015 come Produzione Italiana dell’Anno. Dunque superiamo la perplessità iniziale ed entriamo nel vivo del lavoro.

La Nona (dal caos, il corpo), terza parte del progetto Transiti humanitas, è ispirato, come è facile comprendere, alla ben nota Sinfonia n. 9 op. 125 di Ludwing van Beethoven, proposta però nella trascrizione per due pianoforti di Franz Liszt.

Spogliata di coro ed orchestra, la sinfonia si rivela nella sua essenza e ci mostra la sua nuda bellezza, lo stesso fa l’umanità in transito sulla scena: ci si mostra, si spoglia del superfluo, va all’essenza.

Eccolo Zappalà, quello che scava, crea, non si ferma alla superficie, va in profondità. Ora lo riconosciamo, in questa semplice operazione che sembra togliere, piuttosto che aggiungere e con ciò stesso arricchisce; ne riconosciamo quella bellezza un po’ cruda, priva di orpelli, schietta, quella potenza emotiva sincera, quella esigenza viscerale e carnale di mettere il cuore nelle creazioni così che in esse pulsi realmente la vita.

Sono sempre un po’ a metà strada tra la sfera intellettuale e quella emotiva i lavori di Roberto Zappalà ed è un po’ la verità degli esseri umani, in fondo.

Il palcoscenico ci si presenta caotico, sembra accogliere oggetti a caso tra i quali spiccano un’enorme croce e un’altrettanto enorme Mano di Fatima.

Lì su quel palcoscenico i danzatori si mettono a nudo, ci mostrano paure e speranze dell’umanità, si confessano, affrontano il dolore e la gioia e, soprattutto, si interrogano e ci interrogano – a cosa serve l’arte se non a proporre domande? – “Qual è la più grande fede nel creato?” si chiedono, fornendoci la chiave dello spettacolo.

In questo transito oltre ai danzatori – Filippo Domini, Anna Forzutti, Alberto Gnola, Marco Mantovani, Sonia Mingo, Gaia Occhidipinti, Fernando Roland Ferrer, Silvia Rossi, Valeria Zampardi, Eric Zarcone, Corinne Cilia – ci accompagnano i pianisti Luca Ballerini e Stefania Cafaro ed il soprano Marianna Cappellani, rendendoci possibile godere dell’atmosfera creata dalla musica dal vivo, cosa particolarmente apprezzabile in un mondo ormai pieno di spettacoli su basi registrate.

Dove va quest’umanità in transito? Semplicemente – e c’è tutta la profondità del mondo in questa semplice evidenza – alla ricerca di se stessa e nel farlo si confronta con le idee assolute e le religioni, si dà degli idoli, ma ne scopre la costruzione e l’artificio per tornare a se stessa, all’unica realtà evidente ed innegabile: quella del corpo e del suo movimento.

Un corpo spirituale in sé, che non ha bisogno di religioni di sorta, che riscopre se stesso e con esso i più nobili ideali di fratellanza e universalità, che ci mette di fronte all’artificiosità della religione contro la più assoluta verità del corpo e dello spirito.

Ci sono la religiosità e la spiritualità ed è subito chiaro cosa è autentico e cosa no, cosa ci muove realmente e cosa costruiamo per fornirci un appiglio.

Come sempre Zappalà cura tutta la regia del lavoro e come sempre si avvale anche della collaborazione degli stessi danzatori per la costruzione delle coreografie e di Nello Calabrò per la drammaturgia.

Come sempre non bisogna intendere la drammaturgia in senso tradizionale, qui e altrove nei suoi lavori, non si racconta una storia intesa in senso narrativo, piuttosto ci si imbatte in suggestioni, ci si scontra con emozioni particolari e si procede assieme verso una visione comune.

In questo caso, una visione moderna, attuale, vivida, contemporanea, di pacificazione e fraternità, che passa per il confronto e il rispetto, che supera le religioni e perviene ad una spiritualità superiore insita in ognuno di noi che ci permette di avvicinarci ed empatizzare superando le rivelanti eppure irrisorie differenze di cultura perché un’unica verità strutturale ci accomuna: quella del corpo.

Quel corpo che ci avvicina, ci offre una prospettiva di speranza e di liberazione quasi catartica, come la si può ritrovare in un bacio. Un’ umanità in movimento tutta accomunata da quel corpo ingombrante e leggero, fisico e spirituale che, laicamente, si muove – democraticamente, anche, potremmo dire, ma questo può capirlo solo chi conosce a fondo il lavoro del coreografo – e lo fa come sempre fa la danza di Roberto Zappalà, cercando un’estetica diversa, un’estetica dell’inestetico della quale riscoprire la bellezza.

Ecco, ora l’apertura dello spettacolo non ci appare più banale: non c’è niente di più profondo e di difficile da cogliere dell’evidenza e della semplicità.

Nicoletta Severino

Nicoletta Severino

Danzatrice e coreografa, dirige la scuola di danza "Attitude" di Napoli. Proviene da studi filosofici e collabora con varie testate, trattando temi di attualità, di arte e di cultura.

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