“Graces” ovvero: quanta bellezza c’è nell’ironia. Al Teatro Nuovo di Napoli

NAPOLI. Ho assistito alla prima di Graces di Silvia Gribaudi al Teatro Nuovo di Napoli la sera dell’11 gennaio 2024 e ho riso come non ridevo da tempo. Intendiamoci, ho riso di gusto, di quel riso che non riesci a trattenere, che è benefico e rigenerante.

E intendiamoci ancora meglio: se c’è una cosa che è difficile ottenere a teatro è far ridere il pubblico, perché a farlo commuovere sono capaci quasi tutti. Ebbene, con Silvia Gribaudi ed i suoi istrionici danzatori – Siro Guglielmi, Matteo Marchesi, Andrea Rampazzo – non ho riso da sola, era un continuo di risate tra il pubblico, un meraviglioso essere parte attiva della performance e goderne.

Goderne non come si code di una mera sublimazione estetica, ma goderne come si gode nella vita vera, con le reazione gioiose e istintive, con la pancia e senza il bisogno di trattenersi. Graces dissacra la sacralità del teatro, ne prende in giro le regole formali, lo rende luogo aperto e ci mostra così, in maniera diretta, spontanea, naturalissima, cosa voglia dire coinvolgimento e partecipazione attiva del pubblico.

Non servono virtuosismi che lascino a bocca aperta, giochi di luce ad effetto, costumi particolari, o soluzioni sceniche ricercatissime sul piano estetico. Piuttosto serve arguzia, ironia, intelligenza. Serve essere un danzatore intimamente, per capire e superare quello che per secoli è stato un codice.

Silvia Gribaudi è l’antitesi dell’era contemporanea che glorifica l’immagine, un’immagine peraltro spesso fasulla e oltremodo costruita. È soprattutto per questo che è un’autrice preziosa, perché ci fa dimenticare dei canoni stereotipati e ci mostra una bellezza vera: quella profonda, sincera, non artefatta, fatta di imperfezioni messe talmente in vista da non vederle più. Una bellezza pura, disarmante, che conosce l’altra bellezza e volutamente la evita, perché in fondo quella è brutta.

“Cos’è bello?” chiede al pubblico, giocando sul processo creativo, sugli “effect”, sulla boria autocompiaciuta di molti autori, sul prendersi troppo sul serio, e la risposta è nella partecipazione totale del pubblico: è bella la verità, la naturalezza, il ritmo che il corpo non riesce a fare a meno di seguire, perché sì, non resisti alla voglia di portare il tempo, alla voglia di alzarti e ballare. Ecco: quello che ti fa venire voglia, quello che ti fa ridere, quello che ti fa riflettere, quello che ha una visione originale, personale, incisiva, è bello.

Graces ironizza sull’ideale estetico perfetto ed irraggiungibile del balletto classico, ne fa una parodia intelligente, che racconta e disegna la musica col movimento di corpi unici e possibilità danzanti diverse. Ironizza sui corpi plastici dei danzatori che sfoggiano muscoli disegnati dalla penombra delle luci sceniche, che si sentono adoni. Ma l’artista, il danzatore è chi è capace di veicolare un messaggio, di costruire un linguaggio, non chi fa sfoggio di fasci di muscoli per accrescere il proprio ego.

Geniali i giochi d’acqua finali che consentono ai danzatori meravigliose evoluzioni, promenade, diagonali, tour, dicendo con la suddetta ironia che in fondo i virtuosismi sono giochi di prestigio, che quella è tutta illusione scenica e che l’arte è una cosa vera.

Io per tutta la durata di Graces avevo voglia di ballare ed appena finito avrei voluto rivederlo ancora ed ancora, per questo vi consiglio di farlo: sarà in scena fino a domenica 14 gennaio 2024. Credo che un autore sia apprezzabile quando riesce a creare qualcosa di nuovo, quando trova un modo personale di fare performance, quando codifica un proprio linguaggio, quando costruisce una sua poetica e credo che in questo Silvia Gribaudi sia maestra indiscussa. Ci vorrebbe più Silvia Gribaudi per tutti, non solo la danza.

Nicoletta Severino

Nicoletta Severino

Danzatrice e coreografa, dirige la scuola di danza "Attitude" di Napoli. Proviene da studi filosofici e collabora con varie testate, trattando temi di attualità, di arte e di cultura.

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