La taverna per mercanti di Moregine, antico porto fluviale di Pompei
POMPEI. L’indagine archeologica a Moregine (a sud di Pompei) ebbe inizio nel 2000 con i lavori della terza corsia autostradale Napoli-Salerno. Le difficoltà di cantiere derivarono dalla collisione tra i flussi piroclastici provenienti da nord ovest e quelli del fiume provenienti da est e dalla necessità di pompaggio delle acque nelle ore notturne per poter scavare in quelle diurne: il pavimento era 3 metri sotto il livello dell’acqua.
L’indagine consentì lo studio di una costruzione sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. già nota prima: l’edificio su fondo Malerba, come quello poco distante, esplorato invece nel dopoguerra, ha ospitato nell’antichità mercanti che frequentavano l’ampio porto fluviale di Pompei.
Il primo edificio era riservato ad una clientela di rango inferiore a quella dell’Ospitium dei Sulpici su Fondo Malerba. Entrambi gli edifici facevano parte del cosiddetto “quartiere del Sarno”, agglomerato extraurbano a sud di Pompei, vicino alla foce del fiume.
L’isolato è composto da 8 frazioni su 2 piani e 18 ambienti (caupone, stanze da fittare e ripostigli con frequenti crolli di piani superiori). In due frazioni sono stati rinvenuti reperti di particolare interesse.
L’intera costruzione si ampliò anno dopo anno da est verso ovest: i periodi si deducono dagli stili degli affreschi, partendo dal Secondo Stile. Le caratteristiche architettoniche della struttura (frazionamento spazi, doppi ingressi, diverse aree tricliniali e banconi di cottura all’esterno) riproducono un’area ricettiva vicino al percorso esterno della via di Stabia.
La prima (unità D) contiene diversi ambienti di una caupona (ingresso, portichetto, panchine in muratura, vestibolo con volta a botte, sala d’attesa con panca rivestita da cocciopesto e pareti affrescate in Quarto Stile a fondo giallo). Nello spazio che segue: mensa in muratura e letti triclinari su tavole in legno incrociate.
A destra, 5 nicchie-ripostiglio con piatti e fritilli, pavimento in cocciopesto e pareti decorate in Quarto Stile. Ad est una cucina con latrina in fondo al corridoio e, nell’angolo, raccolta di acqua piovana riveniente dal piano superiore.
In un ambiente centrale sono stati rinvenuti 2 scheletri di vittime: una donna di più di 30 anni e un’altra di età inferiore ai 20, rimaste vittime del crollo del piano superiore, dovuto alle scosse telluriche prima del fenomeno eruttivo. Probabilmente si allontanarono da Pompei per imbarcarsi e si rifugiarono nella caupona, trovandovi però la morte.
I due scheletri erano uniti tra loro. Su quello della donna più giovane è stato trovato un “tesoretto”: 9 gioielli e 3 monete. Alle braccia la giovinetta indossava 2 armille e un anellino d’oro ad un dito della mano.
Una delle armille serpentiforme portava incisa la frase “dominus ancillae suae”, circostanza alla base di fantasiose congetture sul rapporto tra schiava e padrone. «Instrumentum meretricio o instrumentum artis amatoriale?» è il quesito posto dal professore Salvatore Nappo nel corso della sua conferenza per l’Associazione Internazionale “Amici di Pompei”.
La frazione E è quella maggiormente estesa del complesso nei due piani e la più articolata. Fungeva da caupona con sala tricliniare a 3 letti in muratura rozza, deposito entro le pareti e mensa accostata al letto tricliniare.
L’ambiente era raggiungibile da più punti della casa. Una scala di legno portava ad una pergola sul piano superiore sostenuto da pilastri. Era l’ambiente più curato dell’interno. Aveva pareti affrescate con decorazioni di Quarto Stile a zoccolo nero, pannelli a fondo giallo e riquadri con architetture fantastiche.
In una nicchia della parete nord figurava dipinto un personaggio togato (forse un larario domestico, perché nell’interno era riposta una statuetta di terracotta di un personaggio togato, forse lo stesso dell’affresco, e un brucia essenze).
Il pavimento in cocciopesto portava al centro un emblema con opus sectile di marmi policromi. L’ambiente era arredato di oggetti di vetro e fittili su una trapeza marmorea. Nel piano sottostante è stata rinvenuta una lucerna invetriata conformata a satiro itifallico.
Di particolare interesse l’affresco della parete nord, esterna ad un ambiente del piano superiore: la decorazione, con tratti di pittura popolareggiante, era estesa ai piani inferiori e rappresenta una souvetaurilia davanti ad un edificio quadrato al cospetto di personaggi togati.
Dato che ai lati dell’edificio sono rappresentate due gru dell’epoca (rachamum), si suppone che si tratti di una scena di sacrificio in occasione del completamento della costruzione di un tempio. Era stata dipinta su una pittura di Quarto Stile (quindi dopo il terremoto del 62 d.C.) e stranamente ricoperta successivamente con uno strato di calcina.