La scuola e l’istruzione nell’antica Pompei
POMPEI. Se interrogandoci sulle modalità di formazione culturale ed educativa nell’antica Pompei ci venissero in mente i moderni processi scolastici, ci troveremmo completamente disorientati, poiché l’antico sistema di insegnamento e le strutture dove le lezioni si svolgevano differiscono notevolmente.
La scuola, così come la intendiamo ai giorni nostri, non era stata ancora istituita. I giovani pompeiani, infatti, seguivano le lezioni o direttamente nelle loro domus se erano di estrazione sociale elevata, profittando degli insegnamenti degli schiavi acculturati, oppure si riunivano in retrobotteghe, in spazi all’aperto o sotto una pergula (veranda), se questi non godevano di una posizione economica agiata.
Nonostante le tante difficoltà per poter ricevere una formazione culturale ed educativa adeguata, l’indice di analfabetismo era molto basso in città. Nel caso in cui qualche pompeiano che non sapeva né leggere né scrivere, avesse avuto la necessità di redigere una lettera, questi poteva sempre ricorrere agli scribi, scrivani pubblici, che stazionavano nei luoghi più affollati della città, tra cui il Foro, la Grande Palestra, le Terme e il Foro triangolare.
Alcuni scrivani avevano pensato di incidere i loro nomi sui muri dei luoghi dove essi erano soliti lavorare: è cosi che durante gli scavi archeologici molte di queste iscrizioni sono stati rinvenuti e i nomi di Acidio Cedro, Nonio Lorica, Elio Cidino e Instuleio Nedino, sono ritornati alla luce.
Sappiamo, grazie ad alcune iscrizioni, che il numero di scrivani pubblici aumentava sempre di più poiché i maestri, nonostante i prezzi modici che proponevano alle famiglie per educare i loro figli, molte volte non venivano pagati e per arrotondare erano costretti a trasformarsi in scribi.
Ciò mette in luce il fatto che la professione dell’insegnante non era riconosciuta ed apprezzata come nella modernità, anzi i maestri erano oggetto di derisione e di disprezzo. La condizioni in cui si trovavano a svolgere la loro professione, molte volte erano inverosimili. La scarsa considerazione, la vivacità dei ragazzi, il rumore della folla e tanti altri elementi di difficoltà, rendevano questo lavoro ancora più arduo.
Gli insegnanti, stressati da queste condizioni, e di formazione più rigida ed intransigente, solevano punire gli alunni più vivaci che disturbavano le lezioni. Questi ultimi subivano percosse sulle natiche date con grande vigore dai maestri, i quali, per rendere ancora più umiliante la punizione, si avvalevano dell’aiuto di altri studenti che avevano il compito di stringere le braccia e le gambe dei malcapitati. Tale scena è riprodotta su una pittura parietale esposta al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Gli alunni che non facevano tesoro di questa “lezione” e continuavano imperterriti a disobbedire ai maestri, venivano puniti con i ceppi, i quali solitamente erano utilizzati per percuotere gli schiavi ribelli e i malfattori.
Come detto precedentemente, le famiglie più abbienti affidavano l’educazione dei propri figli al Paedagogus, schiavo greco molto istruito che aveva il compito di insegnare principalmente la lingua greca e latina.
Anche questo schiavo-maestro aveva la facoltà di bacchettare gli scolari più pigri, ma questi a loro volta si vendicavano con ingiurie molto pesanti scritte sulle pareti delle stanze dove si svolgevano le lezioni. Un esempio eclatante ci viene dalla Casa delle nozze d’argento, dove il dominus L. Albucius Celsus aveva affidato l’educazione dei suoi figli al pedagogo C. Giulio Eleno.
Questi, però, era molto severo e i ragazzi, per “vendicarsi”, avevano scritto su un muro dell’esedra, spazio nel quale si svolgevano le lezioni, “Eleno frocio!”. Altra scritta, nella medesima casa, mette in luce il pessimo latino dei figli di Albucius Celsus: ecco, forse, il motivo per cui il maestro Giulio Eleno era molto intransigente verso di essi.
Su via Nola (IV,14,12) il maestro Potito, molto famoso in città perché, oltre ad essere amministratore di Quinto Poppeo Sabino, era amministratore di una nota falegnameria sita nel Vicolo dei Vetti, aveva aperto la sua scuola prendendo in affitto un locale al primo piano, trasformandolo in aula dove svolgere le proprie lezioni, ad un massimo di 15 alunni.
In questa aula c’erano banchi ma non tavoli: gli scolari, quindi, per poter scrivere dovevano poggiare le tavolette sulle ginocchia. Essendo il vicolo dei Vetti situato lontano dal caos del centro città, questa scuola poteva godere di una certa tranquillità in tema di rumori, ma nonostante ciò il maestro Potito ci tenne a ribadire: “Silenzio, qui si studia! E tu, sfaticato, smetti di guardare il soffitto”.
Forse Potito insegnava anche filosofia. Lo testimonia il fatto che su un muro della classe ci fosse un affresco che rappresentava immagini di sapienti e filosofi assorti nelle loro meditazioni, con in mano dei rotoli di papiro e una bacchetta. Al centro di questa pittura, forse, vi era raffigurato proprio Potito, caratterizzato da una barba incolta.
Altra scuola molto famosa in città era stata istituita in un locale della Casa del Fauno, ed era proprio il probabile proprietario, Cassio Saturnino, che vi teneva le lezioni. Ricco e sapiente, questi voleva diffondere la cultura tra i suoi concittadini per essere considerato un uomo saggio e conoscitore delle leggi.
Amava insegnare diritto e il suo nome, insieme a quello di alcuni discepoli, è stato inciso su di un muro della Basilica. Cassio Saturno, era quindi un causidicus, ossia un avvocato che inseriva i suoi giovani praticanti alla vita del Foro, insegnando loro le nozioni e le responsabilità che avrebbero avuto nell’esercizio della professione. I discentes, gli allievi, dovevano altresì assistere a numerosi processi e inscenarne altri per prepararsi alla composizione e declamazione delle loro orazioni.
Alcuni ritrovamenti attestano che anche nel Foro triangolare esisteva una Schola, probabilmente fondata nel I secolo a.C., in epoca augustea. Tanti e diversi, quindi, erano i luoghi atti alla formazione dei ragazzi. Cosa certa è che lo studio dei classici rappresentava una tappa fondamentale per assurgere ad un alto grado di cultura.
La predilezione per l’Eneide di Virgilio è palese, stando alle diciassette iscrizioni che riportano il primo verso dell’opera: ARMA VIRUM QUE CANO TROIAE QUI PRIMUS AB ORIS… (ovvero “Canto le armi e l’uomo che per primo dalla spiagge di Troia…”).
Nonostante tutto, nell’antica Pompei non si respirava un’aria prettamente intellettuale: si dava maggiore risalto alla formazione della Juventus Pompeiana, ossia quei giovani che sarebbero dovuti partire per combattere nelle future guerre di Roma.
Forse il controllo delle menti e dei corpi dei giovani cittadini, in questo caso quelli pompeiani, era più importante della loro formazione culturale ed educativa, poiché sottraendoli alla ratio li si poteva controllare e gestire con molta più facilità. Almeno in questo nulla è cambiato!