«Silenzio Napoletano» di Sergio Siano: Napoli che parla solo a chi sa ascoltare
NAPOLI. “Cercai bellezza / quando mi sembrava non esistere. / Ho cercato il silenzio / quando mi era sembrato perduto”. Certe città non le puoi raccontare. Le devi ascoltare. Ma per farlo, serve imparare il silenzio. Quello che viene prima del tuono. Quello che resta dopo la preghiera.
C’è un silenzio che non è vuoto ma gremito: di sguardi, di assenze, di tempo che si ferma. Un silenzio che non si subisce ma si sceglie, come un varco o un altare. È questo il silenzio che ci chiama dalle fotografie di Sergio Siano. Napoli è sempre stata detta, cantata, urlata, amata fino allo stremo. Napoli è spesso raccontata attraverso il rumore. Eppure esiste un’altra Napoli, invisibile e potente, che vive nel silenzio.
È a questa città sommersa e intima che rende omaggio “Silenzio Napoletano”, la mostra fotografica ospitata negli spazi dell’Hotel de Bonart Naples, Curio Collection by Hilton, visitabile fino al 31 luglio 2025. Uno spazio che non fa solo da cornice: le fotografie di Siano sembrano dialogare con il panorama che si affaccia dalle finestre dell’hotel, come se le immagini proseguissero nel paesaggio reale, e viceversa. Un flusso continuo tra dentro e fuori, tra visione e contemplazione.
Silenzio Napoletano non è solo una raccolta di fotografie: è un’esperienza emotiva. Un percorso visivo che svela la voce segreta della città. L’obiettivo di Siano attraversa luoghi noti e nascosti, restituendoci una città che si svela solo a chi ha il coraggio di ascoltare davvero il silenzio.
La mostra è un viaggio. Non un tour. Non una sequenza. Un viaggio – lento, intimo, senza orpelli – nel cuore muto della città. Ogni fotografia è un battito. Un sussurro. Un respiro trattenuto. Non c’è folla, non c’è scena. Ci sono luoghi. Ma soprattutto, c’è assenza. E in quell’assenza, il senso.
Strade svuotate, cortili che sembrano attendere, orizzonti che non implorano nulla, ma offrono tutto a chi sa guardare. Napoli qui non grida. Napoli sospira. E nel sospirare si mostra nuda, con la sua bellezza vulnerabile, la sua memoria incisa nella pietra, nel tufo, nella luce.
In quel sospirare, la città guarisce. Come se il silenzio fosse un balsamo sulle sue ferite mai rimarginate. Come se l’assenza del clamore permettesse finalmente di ascoltare ciò che è rimasto indietro: un tempo, un ricordo, una preghiera.
Tutte le fotografie della mostra sono prive di figure umane. Tutte, tranne una. Un solo scatto rompe il silenzio degli spazi con la forza di una presenza: Maradona, inginocchiato al centro del campo del San Paolo, che oggi porta il suo nome.
Non c’è pubblico. Non c’è palla. Non c’è azione. C’è lui. Solo. Diego. In ascolto. Non celebra. Non vince. Non dribbla. Prega. O forse, semplicemente, si arrende alla verità di quel momento. È un’immagine che si fa sacra senza bisogno di santità. Un uomo che piega il ginocchio nello stadio vuoto e fa della propria vulnerabilità il tempio.
È l’unica presenza umana della mostra, ma ha il peso di un monumento e la leggerezza di un’invocazione. Non serve che ci siano altri volti: basta il suo, inginocchiato, a restituirci la misura dell’umano. Un uomo, in silenzio, dentro uno stadio vuoto: Napoli intera, compressa in quell’istante.
Sergio Siano, del resto, conosce la città nei suoi chiaroscuri più profondi. Nato a Napoli nel 1969, cresciuto nei Quartieri Spagnoli, Siano ha iniziato a fotografare a soli 16 anni, portando dentro l’obiettivo la vita brulicante che lo circondava. È fotoreporter, ma soprattutto testimone di un tempo che cambia. Ha immortalato la gioventù, la marginalità, la devozione e la rabbia, ma ha saputo anche – e soprattutto – trovare la bellezza dove sembrava perduta.
I suoi ritratti del Pibe de Oro restituiscono un’immagine privata, lontana dai riflettori, di un Maradona più umano. Così come in questo ciclo, I Silenzi Napoletani, emerge la sua capacità di far parlare lo spazio, di mostrarci come esso si riempia e si svuoti di significato.
Perché Silenzio Napoletano non è una raccolta di scatti. È un modo di vedere. O meglio, di ascoltare ciò che non si vede. È la possibilità di tornare a toccare Napoli con occhi nuovi. Non da turisti, non da nostalgici, ma da innamorati silenziosi. Chi entra in questa mostra si porta via una città che nessuna guida racconta. Una Napoli che si offre solo se si ha il coraggio di spegnere il rumore.
E sentire che, anche nel silenzio, anche nell’assenza, lei c’è. E ci parla. Con la voce dell’acqua. Con la voce delle pietre. Con il suono invisibile del cuore. E chi saprà guardare – non solo vedere – si porterà dentro questa città come una musica sommessa, come un segreto buono. Napoli non smette di parlare: semplicemente, a volte, lo fa sottovoce.