“Il silenzio è un dono”: la mostra di Ciro Battiloro al Blu di Prussia a Napoli
NAPOLI. C’è un silenzio che non è pace, ma ferita. Un silenzio che scivola tra le crepe dei muri umidi del Rione Sanità, che si arrampica sulle scale sbrecciate di Santa Lucia, che ristagna nei corridoi stretti delle case di Torre del Greco. Un silenzio che non consola, ma resiste; che non placa, ma condanna. Non dorme, ma veglia.
È questo il silenzio che Ciro Battiloro ci restituisce nella sua mostra personale Silence is a Gift, curata da Maria Savarese, presso la galleria Al Blu di Prussia (Napoli) dal 22 maggio al 13 settembre 2025. Un dono spigoloso, che punge. Un dono necessario.
Il titolo, tratto dall’omonimo libro pubblicato da Chose Commune nel 2024, è una dichiarazione di poetica. Ma anche un ossimoro: perché qui, il silenzio non è mai quiete. È attesa, sconfitta, un urlo ingoiato. È la soglia sottile tra l’essere e lo scomparire, tra l’amare e il crollare, tra il trattenere e il lasciarsi andare. È il silenzio dell’anima quando il dolore ha smesso di gridare. Quando resta solo un’eco. E quell’eco è la vita.
Battiloro non scatta fotografie: veglia assenze. Conserva le voci che non hanno più fiato, i corpi piegati sotto il peso delle ore, sorrisi che resistono come un ultimo presidio di luce. Le sue immagini – intense, lente, straziate – non raccontano storie: le abitano. E noi ci ritroviamo dentro, coinvolti, presenti. Spettatori nudi di un teatro senza sipario, dove tutto accade con una verità che brucia sotto pelle.
E allora ci fermiamo. Perché a quei letti disfatti, a quei volti scavati, a quelle mani intrecciate che sembrano dire solo: ricordami, la parola diventa superflua. Resta il silenzio. Un silenzio che non è assenza, ma resistenza. Un silenzio che non tace: urla.
Il bianco e nero delle sue fotografie è come una cicatrice che si illumina nella notte. Ogni contrasto segna un confine tra la luce e l’abisso; ogni ombra è una stanza interiore, un angolo del cuore che non ha mai trovato pace. C’è una madre che accarezza un figlio senza più parole, un vecchio che guarda fuori dalla finestra e sembra scrutare l’assenza, una bambina che gioca in una stanza spoglia, dove l’infanzia ha il suono ovattato della clausura.
La vita si consuma in un eterno presente fatto di piccole liturgie quotidiane: lavare, pettinare, dormire, pregare. Abbracciare. E poi la morte, che passa in punta di piedi, senza scenografie, come un’ospite già attesa. Una morte che non ha volto ma ha voce: quella delle fotografie che restano dopo, come ultimo baluardo contro l’oblio.
Nel testo struggente che accompagna il libro, Erri De Luca scrive: “Ci sono giorni e ore che il tempo non si versa a granelli nel collo di clessidra. Si invece arresta, in un soprapensiero, raccolto in una forma di abbandono. Suo simbolo è un abbraccio”. Ecco, Silence is a Gift è tutto qui: un lungo abbraccio sospeso nel tempo, nella memoria, nella malinconia. È un canto muto a chi resta ea chi parte, a chi vive nei margini e ne fa un centro invisibile, ma vivo.
Per la prima volta, la mostra presenta anche una selezione di immagini tratte dal nuovo progetto Le Petit Souffle. E in quel “soffio” – così lieve da sembrare un’illusione – c’è tutto il respiro dell’umanità che Battiloro cerca e incontra. Una vita che non fa rumore, ma vibra, fortissima, sotto pelle.
“Il silenzio è un dono raro per questi vicoli, ma nella sua intima rivelazione scopri l’anima nuda e immensa di un’umanità dimenticata” (Ciro Battiloro).
Il silenzio è un varco. Ti chiede di entrare scalzo, in ascolto. Di lasciarti toccare da ciò che non si dice, ma si sente. Di restare. E nel restare, impari a riconoscere quel silenzio che ti porti dentro, e che forse non avevi mai osato ascoltare. Perché c’è un silenzio che non si colma. Ma si condivide. E in quel vuoto condiviso, scopriamo l’essenza più vera dell’umano: saper restare accanto, anche quando il mondo, altrove, continua a far rumore.