Santiago Cucullu al Museo Filangieri di Napoli con “These Fragments”
NAPOLI. C’è un’immagine che si fa strada tra le sale del museo civico Gaetano Filangieri, tra stucchi neogotici, arredi silenti e porcellane regali: quella del frammento. Non come reliquia, ma come scintilla. È da lì che parte “These Fragments / Have Shored Against My Ruins”, la mostra personale dell’artista argentino Santiago Cucullu curata dalla galleria Umberto Di Marino, inaugurata lo scorso 9 maggio 2025.
Il titolo, una delle frasi più celebri tratte da The Waste Land di T.S. Eliot, non è solo evocazione poetica: è dichiarazione di intenti. Questi frammenti non sono macerie, ma argini, rifugi, difese intime contro le rovine del tempo. Santiago Cucullu li lavora, li plasma, li interroga. E lo fa attraverso la ceramica, materiale umile e insieme ancestrale, terreno d’incontro tra gesto e memoria.
Nel cuore del museo, luogo che è esso stesso intreccio di collezione privata e narrazione pubblica, di accumulo e perdita, Cucullu innesta un cortocircuito visivo e simbolico. Le sue opere si confrontano con le porcellane della Real fabbrica di Capodimonte e della manifattura di Meissen, emblemi di un’arte volta alla perfezione, all’ideale, all’eternità della forma. Ma è proprio in questa apparente frattura che si apre un dialogo potente: perché ogni perfezione, se osservata a fondo, rivela la sua fragilità.
Le ceramiche di Cucullu sono oggetti in transito. Non si ergono, ma si piegano, si spezzano, si riaggregano. I colori colano, i bordi si slabbrano, la superficie brucia. Eppure, in questo disordine apparente, risuonano echi precisi: scorci di Buenos Aires, geometrie stradali, frammenti visivi che sembrano provenire da una memoria collettiva ma irriconoscibile, come se la città stessa, con le sue contraddizioni, le sue periferie, le sue storie rimosse, si sedimentasse nella materia.
Ogni oggetto è una tensione tra forma e abbandono, tra desiderio di compiutezza e accettazione dell’incompiuto. Non c’è nostalgia in questi lavori, ma una profonda urgenza di risignificare. Cucullu non cerca di aggiustare ciò che si è rotto, ma ne conserva la traccia, la rende significativa. L’errore non è da correggere: è da esporre. In questo senso, la sua pratica si avvicina a quella di un archeologo del presente, che scava non per riportare alla luce un ordine perduto, ma per restituire senso all’informe.
A rendere possibile questo tipo di operazione è anche la visione della galleria Umberto Di Marino, da sempre attenta alle pratiche che si muovono ai margini del linguaggio e dell’istituzione, che interrogano la forma nel suo farsi e il contesto nel suo disfarsi, ponendosi come atti critici e poetici al tempo stesso. Fondata a Napoli nel 2005, la galleria ha costruito negli anni un percorso coerente e radicale, promuovendo artisti che esplorano il confine tra arte e spazio pubblico, tra estetica e politica, tra immagine e narrazione.
La collaborazione con Santiago Cucullu si innesta con naturalezza in questa traiettoria, riaffermando l’urgenza di un’arte che non solo abita il presente, ma ne sfida la superficie, aprendone crepe, possibilità, visioni. Il progetto curatoriale di Umberto Di Marino si muove proprio in questo spazio di tensione. Non impone una lettura, ma invita allo sguardo trasversale, al pensiero obliquo. L’antico e il contemporaneo, il decorativo e il concettuale, il museo e l’opera vivente: tutto convive in un equilibrio precario, dove ogni elemento è chiamato a riflettere sull’altro.
Non è un caso che la ceramica, materiale tanto domestico quanto simbolico, diventi qui veicolo privilegiato per un discorso più ampio sul tempo, sull’identità, sulla costruzione del senso. In una società che teme la crepa, Cucullu la celebra. In un mondo che esige compiutezza, egli propone un’estetica dell’instabile. È, in fondo, un pensiero della soglia: la bellezza non sta nella forma, ma nel gesto che la genera. Non nel tutto, ma nella parte.
Così, attraversando la mostra, ci si scopre lettori di un alfabeto irregolare, in cui ogni oggetto è una sillaba, ogni crepa una pausa. Non ci sono risposte, ma domande in sospensione. Ed è in questo spazio sospeso che il pubblico diventa parte dell’opera: portatore di senso, prolungamento del frammento, custode temporaneo di una narrazione che non finisce.
“These Fragments / Have Shored Against My Ruins” non è solo una mostra: è un esercizio di visione. Una meditazione plastica sul nostro modo di abitare il tempo, di ricostruire identità a partire da ciò che resta. In un presente che si sgretola, Cucullu suggerisce che è proprio dai detriti che si può ricominciare. Che la verità, oggi, non abita più nella superficie levigata, ma nella fenditura. Nella ferita che parla. Nella materia che resiste.
La mostra è visitabile fino al 29 giugno 2025, tutti i giorni dalle 9:30 alle 19 (ultimo ingresso alle 18:30), nelle sale del museo civico Gaetano Filangieri, via Duomo 288, Napoli. Un’occasione per avvicinarsi non solo all’arte, ma a un pensiero radicale sul tempo e sulla forma: quello che, nel frammento, trova ancora la forza di immaginare.