Papa Francesco, il silenzio dopo la voce: «La speranza nel mondo è la fraternità»
C’è una fotografia che racconta più di mille discorsi. È quella di Papa Francesco chinato a terra, in silenzio, a lavare i piedi di dodici detenuti. Mani che non giudicano, ma accolgono. Uno sguardo che non condanna, ma abbraccia. Da quel primo gesto semplice e rivoluzionario del 2013, il pontificato di Jorge Mario Bergoglio si è fatto cammino tra le periferie del mondo e dell’anima.
Ha scelto gli ultimi, i dimenticati, i senza voce. Ha scelto il dolore come luogo di verità, la povertà come linguaggio della fede, la fraternità come orizzonte possibile. E mentre il mondo alza muri, Francesco costruisce ponti. La sua parola è stata carezza e scossa, denuncia e consolazione. Una speranza radicale, che non si accontenta del simbolico ma chiede azione, prossimità, giustizia.
Era il 27 marzo 2020. La piazza San Pietro vuota, il cielo carico, la pioggia che cadeva lenta e incessante. Papa Francesco in piedi davanti al crocifisso miracoloso di San Marcello, parlava al mondo intero, immerso nel silenzio di un’umanità ferita. «Nessuno si salva da solo», disse, con voce ferma. Fu un momento che attraversò ogni casa, ogni cuore, ogni coscienza. In quella solitudine carica di dolore, Francesco ci mostrava la vera forza della fede: restare, accanto, anche quando tutto vacilla.
Oggi, mentre il mondo saluta il suo passaggio, quelle parole tornano come eredità viva. La sua morte lascia un vuoto che è insieme perdita e seme. Un invito a continuare ciò che lui ha iniziato: abbattere le distanze, sporcarsi le mani, scegliere gli ultimi come primi. Il suo pontificato non è stato solo parola, ma gesto incarnato, carne della Chiesa che si fa madre, sorella, rifugio. Una Chiesa “in uscita”, come l’ha voluta, capace di farsi prossima a chiunque, soprattutto a chi è dimenticato ai margini.
«La speranza nel mondo è la fraternità», così ci ha detto. Non come slogan, ma come scelta radicale: guardare l’altro non come nemico o concorrente, ma come fratello. È una rivoluzione lenta, difficile, ma necessaria. E oggi più che mai, nel rumore delle guerre e delle ingiustizie, quella voce dolce e ostinata ci chiede di non dimenticare.
Ora che Francesco non è più tra noi, resta il silenzio che segue le parole vere. Resta il gesto che ha parlato più forte dei proclami, l’abbraccio al migrante, la carezza al malato, l’inchino davanti al popolo del dolore. Non ci lascia un trono, ma una strada.
Non un dogma, ma una direzione. E allora tocca a noi, pellegrini del quotidiano, portare avanti la sua voce mite e incendiaria. Continuare a credere che un altro mondo è possibile, se impariamo a guardarci negli occhi come fratelli. Perché in fondo, in ogni tempo, la speranza abita dove qualcuno si prende cura.