Tra nuovi scavi e la necessità di fare network: scenari di marketing per la Grande Pompei
POMPEI. «La creazione di un network sinergico dei diversi siti può divenire importante obiettivo da perseguire». Questa manifestazione d’intenti della direzione del Parco Archeologico di Pompei (presumibilmente supportata e/o indirizzata a livello politico-istituzionale) non rappresenta una linea strategica recente, ma si è progressivamente affermata negli ultimi vent’anni.
La novità, invece risiede nel fatto che il nuovo indirizzo, ripartito a vele spiegate nella gestione Zuchtriegel e che, a dirla tutta, sta riscontrando consenso nel ceto politico-imprenditoriale di Costa del Vesuvio, è stato confortato dai numeri di un recente studio condotto dall’Università di Salerno in collaborazione con il Parco archeologico di Pompei.
Si tratta, immaginiamo, di una ricerca statistica sull’andamento dei flussi turistici, collegato nel corso del tempo alle parallele politiche di gestione. In essa si è provveduto anche a verificare la correlazione tra le nuove campagne di scavo e l’aumento dei flussi turistici e si è rilevato che manca una relazione tra i due fattori.
La decisione di visitare gli scavi di Pompei dipende notoriamente dalle scelte operate dei tour operator ispirate a interessi imprenditoriali e trend turistici che seguono più indirizzi (e curiosità) di natura consumistica che culturali, mentre solo piccole percentuali delle presenze turistiche degli ultimi anni si orientano sulla base di reali interessi archeologici.
Lo stesso studio accerterebbe, invece, che i nuovi scavi possono indurre una crescita sostanziale in siti poco sviluppati. Si porta l’esempio dello scavo di Civita Giuliana, condotto in convenzione con la Procura della Repubblica di Torre Annunziata, allo scopo di evitare saccheggi clandestini di reperti archeologici di grande interesse e valore.
Esempio, a nostro parere, poco calzante perché, a parte la grande vicinanza dello scavo in questione al perimetro della Pompei antica, bisogna tener conto che è proprio la particolare motivazione dell’iniziativa (investigativa e giudiziaria) di aprire un cantiere di ricerca preventiva, a destare un maggiore interesse.
A parte tutto, per decidere il profilo della gestione del Parco (divenuta sempre più complessa, perché si sta sempre più estendendo ai settori sociale e agroalimentare) bisogna sempre vagliare il trade-off tra i costi di ricerca, tutela e conservazione e i vantaggi culturali della valorizzazione e della conoscenza del patrimonio archeologico assicurata da nuovi scavi.
Valutazioni che variano col passare del tempo, perché se è vero che le nuove scoperte archeologiche hanno bisogno di controllo e manutenzione, è anche vero che i costi di tutela e conservazione sono oggigiorno in fase decrescente grazie alle nuove tecnologie.
Questo nuovo studio rafforza la determinazione, condivisa dalla direzione con il Comitato scientifico del Parco e con il Ministero della Cultura, d’investire in nuovi scavi tenendo però in conto le varie istanze di sostenibilità, conservazione, fruizione e conoscenza, con una particolare attenzione per le zone esterne alla città antica: la cosiddetta “Grande Pompei”, formata dal paesaggio naturale e archeologico tra il Vesuvio, il fiume Sarno, i monti Lattari e il mare, dove nuovi scavi potrebbero contribuire allo sviluppo di un territorio che, nell’antichità, era tutt’uno con Pompei.
Vale la pena, a questo punto, ricordare un’iniziativa sul piano della valorizzazione del territorio vesuviano della “Grande Pompei”, ispirata al nuovo indirizzo strategico. Consiste in un’app, Smartland Pompei, creata con la collaborazione dell’Università di Salerno. Serve ad informare i turisti soprattutto sulle opportunità di visita archeologica verso i siti periferici di Stabia, Oplonti, Boscoreale e Longola.
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