“Hic et ubique”: l’augurio in un graffito sulle pareti della casa del Salone Nero di Pompei
POMPEI. Un graffito è un disegno o un’iscrizione grafica incisa su pietra o altra superficie durevole. È prevalentemente eseguito in scrittura ma anche mediante disegni (comunicazione concettuale). Rivestono grande importanza in archeologia, dove insieme ai testi epigrafici delle testimonianze popolari rivelano aspetti inediti della comunità che li ha prodotti.
Sulle mura dell’antica Pompei sono stati trovati graffiti anche di due millenni precedenti ben conservati sotto cenere e lapilli. Costituiscono una fonte pregiata per conoscere i suoi usi e costumi, aspetti inediti del suo divenire e specifici episodi.
La scrittura dei graffiti pompeiani è nella lingua parlata e riguarda normalmente messaggi di vario genere. Essa contribuisce a ricostruire uno spaccato sulla vita dell’epoca. Avere la possibilità di leggere le considerazioni di individui comuni costituisce un richiamo e un tassello di storia locale.
Un recente articolo di approfondimento sui rinvenimenti dal cantiere della Regio IX, insula 10, di Pompei dove sono in corso indagini archeologiche, informa che sono emerse firme autografe di persone che presumibilmente frequentarono quei luoghi.
Oltre ai nomi dipinti (in greco) accanto alle rappresentazioni affrescate di Elena e Paride, compaiono nomi come Pudens, Vesbinus, Valerius e Silvanus a cui doveva essere stato indirizzato un saluto. Sulla base dei caratteri, stili calligrafici ed altro si riescono a fare congetture sui personaggi richiamati.
Figurano sui muri anche tracce di un/una Modest- (Modestus? Modesta?). Maggior interesse ha destato la formulazione di un saluto attraverso cui qualcuno aveva augurato, presumibilmente ai proprietari della domus, felicità e benessere. Hic et ubique, “qui e ovunque”, è un’espressione rinvenuta quasi esclusivamente sulle pareti pompeiane. Solcherà i secoli, mettendo Pompei in connessione con Shakespeare, con il tramite della preghiera liturgica.
Con un hic et ubique, infatti, inizia la battuta che pronuncerà l’Amleto shakespeariano rivolgendosi all’onnipresente fantasma del padre. La considerazione fa parte dalle conclusioni riportate in uno specifico articolo dell’e-journal del Parco Archeologico di Pompei da parte degli autori, Maria Chiara Scappaticcio e Gabriel Zuchtriegel.