A Pompei “An Evening With John Legend”: «Utilizzo il mio successo per una giusta causa»
POMPEI. Indubbiamente John Legend è uno che ce l’ha fatta, che “ha sfondato”. E bisogna esserne felici, perché così tutti, ovunque si trovino nel mondo, possono godere del suo talento, della sua musica, della sua voce. Molti hanno avuto il privilegio di ascoltarlo dal vivo ieri sera a Pompei, nell’Anfiteatro romano (sold out per l’occasione), nella seconda e ultima tappa italiana (dopo le Terme di Caracalla a Roma) del suo tour internazionale “An Evening With John Legend: A Night Of Songs And Stories”.
L’evento fa parte della rassegna estiva “Beats of Pompeii“. Ma, più che un concerto, è stata una serata trascorsa in compagnia di John Legend. Davvero è stata una notte di canzoni e di storie. Le canzoni sono quelle che tutti amano ed hanno amato. Quelle degli esordi e quelle dei grandi successi mondiali, che l’hanno collocato di diritto nell’olimpo dell’R&B.
Le storie sono invece quelle della sua vita privata e professionale, che l’hanno portato dov’è adesso e, soprattutto, l’hanno reso consapevole del suo successo. E l’artista era a Pompei per raccontarcele. Così, la leggenda di John Legend risuona nel leggendario Anfiteatro romano, il più antico del mondo, dove si sono esibiti mostri sacri della musica e dello spettacolo.
Come si scoprirà presto, “An Evening With John Legend” non è un racconto autocelebrativo o fine a se stesso. L’artista statunitense è lì sul palco non per dire che lui ce l’ha fatta, ma per ricordare a ognuno dei presenti che tutti possono farcela, credendo “sufficientemente in se stessi”, come ha avuto modo di dire. È lì per mettere a disposizione di chi vuole ascoltare la sua esperienza di “self-made man”.
Così quando all’imbrunire si spengono le luci nell’arena e si accendono quelle sul palco, mentre dietro viene evidenziata la bellezza dell’antica cavea, al centro della scena compare all’improvviso John Legend. Elegantissimo, con lui c’è soltanto il suo fedele pianoforte. E così sarà per tutta la serata. È quanto basta per rendere magica una serata fatta di canzoni e di racconti.
Le sue prime parole, forse quelle più emozionate, vanno al fascino di Pompei e del nostro Paese. Poi, idealmente, il musicista spalanca le porte di casa sua, fa accomodare nel salotto accanto al piano, apre il cassetto dei ricordi e comincia a tirare fuori ad una ad una le immagini più belle.
Da piccolissimo in braccio ai nonni, poi con la mamma, intento a suonare il piano. Poi quelle dell’università e delle prime esperienze nelle sale di registrazione, fino alla consacrazione come uno dei maggiori rappresentanti mondiali dell’R&B. Per arrivare, infine, a quelle del matrimonio con Christine Teigen (sul lago di Como, nel 2013) fino alle immagini dei grandi trionfi sul palco dei Grammy o alla notte degli Oscar (2015).
L’artista racconta, affabula, diverte e si diverte, mentre sullo schermo scorre la traduzione in tempo reale delle sue parole. E dove le parole non possono arrivare, c’è la sua voce, ci sono le note del suo piano. Con questi ingredienti, due ore volano via presto. «Siete pronti a tornare indietro nel tempo con me?» chiede al pubblico l’artista 45enne, che per qualche istante torna John Roger Stephens, il suo vero nome quando venne al mondo a Springfield, in Ohio (Stati Uniti).
Da qui parte il racconto della sua adolescenza difficile dopo la perdita della nonna e la depressione della madre. La colonna sonora sono i pezzi Let’s Get Lifted Again / You & I (Nobody in the World) / Ooh Laa, Tonight (Best You Ever Had), Mary, Don’t You Weep (Aretha Franklin cover), Take My Hand, Precious Lord (Thomas A. Dorsey cover) fino a Bridge Over Troubled Water (Simon & Garfunkel cover).
Poi il trasferimento a Filadelfia per studiare (con tutte le difficoltà di un ragazzo nero in una università frequentata soprattutto da bianchi) e per lavorare come direttore di un coro in chiesa. Lo aiuterà molto l’aver cantato e suonato in una chiesa battista nella sua città natale.
In questo periodo infatti (1998) arriva la prima collaborazione: è chiamato a suonare il pianoforte per il singolo di Lauryn Hill EveryThing Is Everything. Poi si sposta a New York, dove si esibisce nei nightclub ma, soprattutto, inizia la collaborazione con Kanye West. Il periodo è scandito dai pezzi Ribbon In The Sky (Stevie Wonder cover) e Stay With You.
È qui che nasce la leggenda di John Legend. Fu proprio in sala di registrazione con West che gli venne affibbiato il soprannome di “The legend” per il suo talento vocale e al pianoforte. John Stephens non si sentiva all’altezza di quel soprannome, finché un giorno pensò: “Perché no? Farò in modo di meritare di chiamarmi John Legend”. I fatti gli hanno dato ragione. E dal palco arrivano le note di God Only Knows (The Beach Boys cover), Dancing in the Dark (Bruce Springsteen cover), Never Let Me Down / Slum Village / American Boy.
La serata vola via tra aneddoti e racconti di vita vissuta. Si arriva così alla definitiva consacrazione tra i grandi dell’R&B grazie ai singoli (Used to Love U e Ordinary people) del primo album Get lifted (2004). E cominciano ad arrivare i prestigiosi riconoscimenti come i primi Grammy. «Ho capito di avercela fatta – ha rivelato John Legend – quando nello stesso giorno mi sono arrivate le telefonate di congratulazioni di due miei idoli come Magic Johnson e Oprah Winfrey». E parte la melodia di Wonder Woman.
Ma il pensiero dell’artista statunitense è racchiuso tutto nella frase che ha pronunciato subito dopo: «Ho ottenuto il successo, è vero, ma lo devo impiegare per una giusta causa: giustizia e uguaglianza per la comunità nera». La musica che sottolinea il momento è quella di Redemption Song (Bob Marley & The Wailers cover), What’s Going On (Marvin Gaye cover) fino all’apoteosi di Glory (Common & John Legend cover, Premio Oscar nel 2015) e di Umi Says (Yasiin Bey cover).
La serata volge al termine. L’ultima parte non può che essere quella più dolce, più romantica, dedicata alla consorte Christine. Per lei è l’ultimo brano in scaletta, All of me. Sulla melodia di questo splendido pezzo qualcuno tra il pubblico in platea ne approfitta per chiedere la mano alla propria amata. Scelta geniale e dal successo garantito: chi avrebbe il coraggio di dire di no in un’atmosfera simile?
Si arriva così ai saluti. Le ultime parole di John Legend al pubblico di Pompei sono un’altra preziosa lezione per chi vuole trovare il suo posto nel mondo: «Essere cool vuol dire essere sempre se stessi in qualsiasi occasione, con chiunque, senza sentirsi obbligati a recitare una parte».
«Ecco, Pompei è cool», conclude. Non poteva esserci commiato migliore di questo. L’arena applaude e saluta John Legend. Ma è solo un arrivederci: tutti non vedono l’ora di conoscere il prosieguo di questa storia che, ne siamo certi, ha ancora tanto da dire. Foto di copertina: Ron Stephens II, fonte Facebook.