Il blu Egizio nell’antica Pompei
POMPEI. Il Parco Archeologico di Pompei ha di recente presentato la scoperta di una camera blu nell’ambito di una prestigiosa domus della Regio IX (foto di copertina). Si tratta di un sacrario ricavato in un ambiente di modeste dimensioni (sacello) basato sullo stile di vita più semplice delle popolazioni originarie dei territori italici colonizzati dalla Roma antica, prima che fosse contaminata da religioni e comportamenti delle colonie dell’Asia Minore.
La nostalgia di tempi antichi, dediti alla vita rustica nell’attività agricola e nella pastorizia, indusse all’utilizzo del blu Egizio nella creazione di un museo domestico della tradizione. Parliamo di un colore raramente utilizzato altrove a Pompei a causa del suo elevato costo.
Attualmente un workshop del Mit di Boston nell’ambito della Summer School 2024 ha svolto alcune attività sperimentali a Pompei sullo studio dei cantieri in corso nella città antica al momento dell’eruzione del 79 d.C. relativamente alle tecniche costruttive utilizzate.
La ricerca si è concentrata particolarmente su analisi diagnostiche dei materiali antichi con l’utilizzo di un innovativo visore in grado di identificare la presenza di blu Egizio all’interno delle pitture pompeiane, allo scopo di valutarne la quantità complessiva.
Il blu Egizio è un pigmento inorganico sintetico che viene considerato il primo colorante artificiale della storia. È stato prodotto in Egitto a partire da più di 5.000 anni fa, il suo impiego si diffuse a partire dalla IV Dinastia e fu commercializzato, tramite Roma (e Pompei) in tutto il bacino del Mediterraneo, ma centri produttivi esistevano anche altrove in Campania (Pozzuoli).
Non esiste una documentazione certa sul metodo di produzione di detto pigmento. Anzi è probabile che ci fosse, a riguardo, un segreto artigianale tramandato nel tempo. I chimici che recentemente hanno cercato di realizzarlo in laboratorio si sono basati su fonti di epoca romana (Vitruvio) e, successivamente, di Plinio il Vecchio.
In conclusione, gli Egizi mescolavano polvere di rame (o malachite), sabbia del deserto (che conteneva silice e carbonato di calcio) e il natron (cioè, carbonato di sodio). L’intruglio veniva impastato con acqua e cotto nelle fornaci, una prima volta per ottenere dei panetti, che venivano pestati e rimessi nuovamente in cottura alcune altre volte. Alcune caratteristiche delle particelle, le temperature, le maturità e le materie prime utilizzate determinano le diverse intensità del colore.
Nel lavori di messa in sicurezza dell’Insula Occidentalis del 2021 fu rinvenuta una bottega di artigiano del Blu Egizio: un disco di pietra lavorato che formava la base per un piccolo mortaio, un vaso metallico e un’olla che conteneva residui di lavorazione per la produzione del preziosissimo pigmento blu/azzurro utilizzato negli affreschi pompeiani. Era stato abbandonato da un artigiano che dovette lasciare tutto per fuggire dall’eruzione.