Giuseppe La Mura, una vita dedicata al canottaggio coronata dal Premio Mondini

POMPEI. È una carriera senza fine quella di Giuseppe La Mura, che continua ad aggiudicarsi “trofei” nonostante abbia ormai lasciato il canottaggio sia da agonista che da allenatore. A novembre la Federazione Italiana Canottaggio gli ha conferito il Premio Azelio Mondini 2023, che viene assegnato ad un tecnico “valutando le qualità morali, l’impegno e la dedizione profuse nell’ambito dell’insegnamento del Canottaggio, quali elementi fondanti di un sano comportamento sportivo”.

Dottor La Mura, dopo una carriera costellata di successi a novembre è arrivato il Premio Mondini. Se lo aspettava?
«No, non me lo aspettavo. Sono rimasto sorpreso. È un premio non è legato ai risultati sportivi ma all’impegno nell’attività di allenatore e alle mie qualità umane e sociali. Fa piacere essere riconosciuti come una persona encomiabile, va al di là di qualunque ambizione sportiva».

Qual è stato il momento in cui ha deciso di lasciare le competizioni e iniziare ad allenare?
«Iniziai quando i miei compagni di allenamento, mentre facevo ancora attività agonistica da veterano, si trovarono senza allenatore e mi chiesero di dargli una mano. Poi tutto è andato oltre le mie aspettative. A 81 anni (ora ne ho 83) ho lasciato per limiti anagrafici, perché ho capito che a un certo punto della vita bisogna fermarsi, anche se in realtà avrei ancora tanta voglia di lavorare».

Qual è la prima cosa che ha cercato di insegnare come allenatore, oltre alle questioni tecniche?
«Ho insegnato soprattutto un principio agli atleti: il miglioramento. Non conta solo il risultato agonistico di prestigio quanto migliorare sempre, perché è migliorando che arrivano i grandi risultati. Quando un atleta fa il suo record personale, ha fatto il suo massimo: e se ha fatto il suo massimo può ritenersi soddisfatto, come chi ha realizzato un record mondiale. Non ho mai messo limiti alle ambizioni: ai miei atleti sembravo un visionario, quando partivano da zero e dicevo che potevano ambire anche alle Olimpiadi».

C’è qualcosa che oggi direbbe ai giovani? Perché fare canottaggio invece di sport più tradizionali, come il calcio?
«Sono due discipline molto diverse. Nel calcio contano anche fantasia, abilità, mentre il canottaggio è più formativo perché l’improvvisazione non esiste. Anche il più dotato deve allenarsi con serietà, impegno, continuità. Non può contare sulla fantasia o la bravura, come un Maradona. I canottieri, anche quando diventano campioni di massimo livello, restano persone semplici e hanno un grande rispetto dei loro avversari, perché sanno che tutti hanno dovuto faticare per arrivare dove sono e nessuno ci è arrivato perché baciato dalla fortuna».

Il dottore Giuseppe La Mura è stato protagonista di una carriera da atleta che lo ha portato a conquistare il titolo di Campione d’Italia nel 1962. Poi si dedica agli studi medici per tornare nel canottaggio come allenatore, dal 1972 al 1992, al Circolo Nautico Stabia (di Castellammare di Stabia) che sotto la sua guida, ha conquistato oltre 50 titoli italiani e 21 medaglie, di cui 16 d’oro, in competizioni mondiali e continentali, tra cui 3 titoli di Campione Olimpico.

Scopritore e allenatore, nonché zio, dei fratelli Abbagnale, La Mura è stato poi direttore tecnico della Federazione Italiana Canottaggio nei periodi 1993-2004 e 2013-2016, ricoprendo un ruolo chiave nello sviluppo del canottaggio nazionale. Durante la sua direzione tecnica il canottaggio italiano ha conquistato oltre 100 medaglie tra Giochi Olimpici, competizioni mondiali e continentali. Ancora oggi, rimane un importante punto di riferimento per diverse generazioni di atleti e tecnici.

Valentina Comiato

Valentina Comiato

24 anni, laureata in lingue ma con un innato amore per la penna. Per Made in Pompei scrive di piccole realtà, grandi talenti e bei progetti.

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