Il liberalismo perduto: presentato a Pompei il libro di Vincenzo D’Anna
POMPEI. “Il liberalismo perduto, alla ricerca di un partito che non c’è” è il libro di Vincenzo D’Anna, imprenditore ed ex parlamentare di centrodestra, originario di santa Maria a Vico, presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi. D’Anna ha commentato lui medesimo gran parte del suo saggio politico al Comune di Pompei, introdotto dall’architetto Federico L.I. Federico, professionista di casa a Palazzo De Fusco, in quanto figlio del primo sindaco del dopoguerra nel centro mariano.
A moderare il dibattito è stato il giornalista Gabriele Scarpa, che da buon conoscitore dell’autore l’ha intervistato sui suoi “cavalli di battaglia” durante i suoi due mandati di parlamentare che, a torto o a ragione, lo hanno reso famoso in quanto personaggio scomodo e, in alcuni casi, provocatorio secondo la prevalente opinione dei commentatori mediatici.
Nella sostanza D’Anna, come da lui stesso confermato, durante vari mandati amministrativi e di parlamentare, ha sorretto i principi liberali sostenendo specialmente i limiti agli interventi statali in economia. È stato frequentemente originale nei suoi interventi in Parlamento, non mancando di sostenere i suoi punti di vista anche se costretto a farlo in solitudine rispetto agli alleati politici.
La provocazione di D’Anna parte dalla vignetta satirica illustrata sulla copertina del suo libro, in cui è raffigurato un anacronistico selfie di Einaudi insieme a Croce e a Sturzo. Sono i tre “padri ispiratori” della sua concezione riformatrice, ancorata alle iniziative politiche avviate in Senato nell’ambito del gruppo “Alleanza Liberalpopolare – Autonomie” (Ala) tese, con una proposta di revisione costituzionale, targata Renzi–Boschi, alla revisione radicale (e liberale, secondo D’Anna) della legge costitutiva, emanata all’alba della Repubblica Italiana.
Renzi e la sua componente politica sosteneva il suo progetto di cambiamento e auspicavano una maggiore elasticità e velocità delle procedure legislative e nelle regole di governo del Paese, oltre alla cancellazione di vincoli all’economia.
In altre parole, l’intento riformatore dichiarato era di alleggerire la macchina statale a vantaggio della sua efficienza: lo scopo era di avviare una graduale programmazione dell’azione di governo di lungo respiro.Oramai molti sono convinti che la vita sociale delle comunità sarà sempre più guidata dall’intelligenza artificiale. Da questa premessa deriva una proposta politica conseguente (condivisa da D’Anna) di semplificazione a tutti i livelli.
Secondo l’autore del saggio presentato a palazzo De Fusco il merito nel nostro Paese dovrebbe prevalere sull’opportunismo (il condizionale è d’obbligo) mentre la proposta che ha fondamento scientifico dovrebbe essere preferita all’improvvisazione.
Pare, invece, che succeda esattamente l’opposto. D’Anna nell’esporre le sue argomentazioni le ha confrontate con le evidenze di tutt’altro segno che emergono dalla cronaca politica del Bel Paese, in cui prevale la strategia del “giorno per giorno”.
Allo stesso tempo compete ai social e agli annunci dei telegiornali dettare i tempi e le priorità dell’agenda politica del Paese, nel quadro di un Parlamento nazionale che sta perdendo progressivamente la sua istituzionale centralità.
«Il ceto politico di governo è sempre più di basso profilo. A tutti i livelli prevalgono clientelismo ed opportunismo. Appare definitivamente tramontato il primato della politica» fa notare il politico campano, di trascorso democristiano, che si è prima formato nella scuola del partito dello scudo crociato e successivamente ha superato la trafila di incarichi di amministrazione locale a vario livello prima di arrivare in Parlamento.
Come biologo ed imprenditore, oltre che professionista pervenuto alla presidenza nazionale dell’Ordine dei biologi, D’Anna ha fatto notare che finanche nelle materie scientifiche, che richiederebbero il massimo rigore scientifico a tutela della salute dei cittadini, prevale molta approssimazione, spesso mascherata come opinione personale.
Ha raccontato ai convenuti la polemica che lo ha visto protagonista nella veste di presidente dell’Ordine dei biologi sulla pubblicità delle sostanze contenute nei vaccini (come quelli contro il Covid). Per la tutela della sicurezza sanitaria nazionale ne dovrebbe essere imposta per legge la pubblicazione. Il paradosso è che quando il nostro ha legittimamente avanzato una riserva a riguardo è stato bollato dall’opinione pubblica come “no vax”.
In conclusione, riallacciando il nodo dei ragionamenti condivisi dall’ex senatore D’Anna, si deve distinguere tra liberismo e liberalismo. I due concetti non sono contrapposti tra loro ma neanche complementari. Quando parliamo di liberismo ci riferiamo alla libera concorrenza analizzata e promulgata da Adam Smith come ricetta necessaria per mantenere integri i rapporti tra operatori economici ed equa la ripartizione dei benefici conseguiti.
Nel caso di liberalismo ci riferiamo all’ideologia politica fondata sulla tolleranza e la libertà di agire. Il liberalismo ha avuto in Italia, come altrove, diverse forme pratiche d’interpretazione, a volte anche distanti una dall’altra. Per esempio, quella di Giolitti è diversa da quella di Croce e la seconda é molto distante dal liberalismo teorizzato da Gobetti.
Il liberismo che, secondo D’Anna, avrebbe dovuto ispirare la nostra Costituzione è motivato dall’opinione che la produzione della ricchezza, nella libera concorrenza, consente un adeguato accumulo del capitale e una corretta distribuzione del lavoro e delle risorse finanziare, allo scopo di potenziare gli investimenti industriali e i consumi delle famiglie e delle imprese.
Chi la pensa diversamente da lui fa notare che l’imprenditore, che è il cervello e il capo del business, si muove sempre nella prospettiva di un profitto crescente, il cui accantonamento serve alla formazione dei capitali necessari a competere sul mercato con bassi costi e prezzi adeguati.
Conseguentemente aspira alla supremazia del mercato (con sistemi più o meno leali). Immediatamente dopo cerca di costruire muri contro i futuri concorrenti (dazi e/o contributi mascherati o normative protezionistiche dello Stato). Gli imprenditori non sono atleti che vanno alle Olimpiadi per il piacere esclusivo di competere. Sono tutt’altro che disinteressati alla vittoria e una volta che hanno prevalso sui concorrenti ne vogliono trarre il massimo profitto.
Il primo impegno successivo è nella difesa a oltranza dei privilegi conseguiti, incrementando progressivamente mezzi e poteri. L’unico punto debole è l’ammontare dei consumi, che non dipendono da loro e per questi sono disponibili a finanziare anche guerre. Ma questo è un altro discorso.
Riguardo alla Costituzione italiana si tratta di una legge che ha cercato di mediare tra principi di statalismo e altri di liberalismo nella formazione delle regole di gestione economica, amministrativa e sociale del Paese. Bisogna tener presente a riguardo che i nostri Padri Costituenti (di alto profilo, anche se di diverso orientamento) dovettero rispettare (e lo fecero in parte) le aspettative della Resistenza.
A parte la contrapposizione tra statalismo e liberalismo ricordiamo a D’Anna, di dichiarato orientamento liberale di estrazione politica democristiana, l’indirizzo di Sturzo al Partito Popolare: “L’etica viene prima dell’economia”. Una concezione sociale che trova esplicita ispirazione dall’enciclica Rerum Novarum, scritta per dare il quadro di riferimento nel rientro attivo dei cattolici alla vita politica italiana, dopo la fine del potere temporale dei Papi.