Tre stazioni di un calvario umano: la “Pietas” di Antonello Tudisco torna al Teatro Tan di Napoli
NAPOLI. Il sentimento della pietas è probabilmente uno di quelli che sommamente caratterizza la nostra umanità, ma cosa accadrebbe se al suo posto subentrasse l’estraneità, l’indifferenza? È quello che si chiede Antonello Tudisco nello spettacolo “Pietas” andato in scena al Tan di Napoli nelle giornate del 28 e 29 ottobre 2023 all’interno della rassegna Area Nord in Festival, alla sua seconda edizione, con la drammaturgia di Domenico Ingenito e Vincenzo Ambrosino.
Quello che la pietà evoca immediatamente alla mente dell’immaginario collettivo è anche, oltre al sentimento universale che le corrisponde, l’opera del celeberrimo Michelangelo, cui Tudisco non fa mistero d’ispirarsi, regalandoci immagini particolarmente suggestive ed evocative, luci sapientemente studiate, accompagnate in contraltare da momenti d’ensemble dei danzatori più “leggeri” e danzati.
La pièce parte con un gruppo di danzatori in scena turbati dal pianto di un bambino. Di quel pianto, vanamente, iniziano a cercare l’origine. Ed è dalla loro ricerca che nasce il fulcro dell’azione scenica che propone tre casi emblematici in cui sordamente la pietà è negata.
Il caso di una madre malata terminale che mette sotto la lente d’ingrandimento scenico la questione dell’eutanasia; il caso di un homeless, picchiato, dilaniato, divorato, disumanizzato ed infine il caso dell’intellettuale critico nei confronti della società identificato in Pier Paolo Pasolini, massacrato in circostanze ancora oggi ignote.
Tre casi che sono quasi tre stazioni di un ipotetico calvario umano, tre momenti dolorosi in cui si manifesta quanto di meno umano possibile l’uomo possieda: l’indifferenza. Tre casi in cui il sentimento di pietà è estraneo e le situazioni divengono estremamente inumane, fino alla morte dei tre protagonisti, in tutti i casi.
Tre casi generici o specifici che non sono frutto di una drammaturgia appositamente scritta per la scena, ma che purtroppo fanno parte della nostra quotidianità, della nostra vita, della nostra storia. Tre casi che sembrano estremi e frutto della finzione scenica, finché non ci si ferma a riflettere sul fatto che queste situazioni accadono, sono accadute e non hanno dentro alcuna pietà.
Potrebbero accadere a tutti, come dimostra il passaggio del testimone rappresentato dalla maglia che indossa di volta in volta chi diventa protagonista della scena. Cos’accadrebbe dunque se l’umanità perdesse il sentimento di pietà, in conclusione? Forse quello che sta già accadendo: la perdita della stessa umanità.
Eppure, quando tutto sembra finito ecco comparire un bambino a rappresentare la speranza, il futuro, la rinascita e probabilmente la mediazione dell’arte in questo processo di riscoperta. Bisogna fare spazio alla pietà perché rifiorisca l’arte e il senso più profondo di umanità.
Danzatori: Gerardo Di Pietro, Lia Gusein-Zade, Gaetano Montecasino, Stefano Roveda, Valeria Petroni con la partecipazione di Massimo Vollero
Musiche: Chiara Mallozzi
Video: Loredana Antonelli
Luci: Giuseppe Di Lorenzo
Scene: Rosita Vallefuoco
Costumi: Gina Oliva
Produzione esecutiva: Hilenia De Falco