Lo skinnyshaming: la faccia meno nota del body shaming
NAPOLI. Qualche sera fa una persona pressoché estranea si è sentita libera di commentare il mio corpo, chiedendomi retoricamente se non fossi sottopeso. Mi sono sovvenuti i commenti di una vita. Subisco commenti del genere fin da bambina, banalità del tipo “Ma mangi?”, “Sei tutta nervi e ossa”,“Ma stai bene?” e oscenità affini.
Io sono una donna adulta, che ha scelto e modellato il proprio corpo, ma sono stata una ragazzina, che come tutte le ragazzine ha vissuto insicurezze e fasi di transizione. E come me tante altre. Il punto è molto semplice: perché ci si sente autorizzati a commentare i corpi altrui? Perché si ritiene di avere il diritto di invadere uno spazio che non ci appartiene e che è strettamente personale?
Ancora: perché nell’era della dichiarazione di guerra al body shaming (che statisticamente interessa principalmente le donne rispetto agli uomini) è finalmente – o quasi – chiaro a tutti che è deplorevole criticare qualcuno se è sovrappeso e non si percepisce che farlo con chi è sottopeso sia esattamente la medesima cosa?
Criticare qualcuno per il suo corpo, significa arrogarsi il diritto di invadere quanto di più proprio l’altro abbia, ciò che è, significa considerare il corpo alla stregua di un oggetto, come se il corpo fosse distinto dalla persona.
La leggerezza con cui si giudicano i corpi, la poca attenzione al peso ed al valore di ciò che si dice, il sentirsi legittimati ad esprimere commenti non richiesti sui corpi altrui è sintomatico di una società che discrimina ciò che è “diverso” e che non riconosce al corpo la dignità ed il valore che gli spetta, di una società che lo svaluta e lo oggettivizza.
Uno sguardo giudicante è un fardello. Che si giudichi qualcuno perché è “troppo grasso” o “troppo magro”, non fa alcuna differenza, si sta in ogni caso limitando qualcuno nella libertà di essere ciò che vuole essere, esponendolo costantemente alla necessità di doverne rendere conto o di più: lo si sta mettendo di fronte alla difficoltà di non essere ciò che invece vorrebbe essere.
La questione non è soltanto etica e sociale, ma racchiude numerose conseguenze psicologiche per la vittima, trattandosi a tutti gli effetti di una forma di violenza. Una persona sicura del proprio aspetto proverà fastidio per l’invasione di campo, si sentirà violata, ma una persona insicura, che ha difficoltà ad accettare il proprio aspetto, finirà per introiettare quello sguardo giudicante, per farlo suo, per sentire l’inadeguatezza del proprio corpo a certi standard.
Per questo è anche una questione sociale e per questo riguarda più le donne: perché nel XXI secolo siamo ancora in una società maschilista nella quale le donne devono essere all’altezza di certi modelli estetici, dei quali subiscono la pressione fin da giovanissime.
Il fatto che la magrezza sia considerata “bella”, che ancora ne sopravviva una sorta di culto estetico, fa sì che la luce sul fatshaming sia accesa giustamente ad oltranza, mentre quella sullo skinnyshaming sembra essere eternamente spenta. Sembra che un corpo magro possa essere giudicato con più leggerezza, probabilmente a causa di una serie di preconcetti estetici su di esso.
Eppure quando si giudica un corpo, si giudica la persona e questo non va fatto mai. Innanzitutto per l’ovvio motivo che si sta oltrepassando un limite ed in secondo luogo perché mai si può conoscere il vissuto di una persona, il suo rapporto col proprio corpo e dunque con se stessa.
Il corpo è ciò che più strettamente ed intimamente ci appartiene, è ciò che noi stessi siamo, è ciò che ci permette di essere ed interagire, il nostro corpo racconta di noi e dice chi siamo.
Giudicarlo con leggerezza significa varcare uno spazio che a nessuno dovrebbe essere concesso varcare, esattamente come entrando a casa di qualcuno non ci sogneremmo mai di commentare negativamente l’arredamento senza richiesta. Eppure una casa sì, è solo un oggetto.