“Lazarus” ovvero c’era una volta il Teatro Totale

NAPOLI. Era il 7 dicembre del 2015 quando al New York Theatre Workshop di Manhattan, andava in scena per la prima volta Lazarus. Poco più di un mese dopo, il 10 gennaio del 2016, David Bowie moriva. È il 3 maggio del 2023 a Napoli quando al Teatro Mercadante di Napoli, va in scena la versione italiana dell’opera (in scena ancora fino al 14 maggio) con la regia di Valter Malosti e Manuel Agnelli come protagonista.

La serata è invero particolare, la città è in trepidazione per la possibile vittoria dello Scudetto, per le strade c’è un dispiegamento di forze dell’ordine mai visto prima, la circolazione probabilmente sarà interrotta e tornare a casa potrebbe essere un’impresa, ma è la prima di Lazarus e vale la pena affrontare il rischio.

La storia portata in scena è ispirata al romanzo The man who fell to earth di Walter Tevis; David Bowie ed il drammaturgo Enda Walsh hanno ripreso la storia del migrante interstellare Thomas Jerome Newton per portarla in teatro e rappresentare il dramma di quest’uomo caduto sulla Terra che non invecchia e non riesce a morire.

La storia di Newton offre a Bowie l’occasione per portare in scena tutti i temi che ha da sempre trasposto in musica: il dolore e la violenza efferata del mondo, la solitudine e la malinconia, l’amore perduto e l’incapacità di adattarsi, le psicosi e l’assurdità del tutto.

Molti fra i più noti pezzi del Duca Bianco sono infatti inseriti in scaletta, più quattro brani inediti scritti proprio in funzione della drammaturgia, tra questi lo stesso Lazarus.

Ma veniamo a noi, la versione italiana con protagonista Manuel Agnelli, diciamocelo, lascia perplessi sulle prime. Ce lo vedete Agnelli, con la sua identità così definita, così peculiare, vestire i panni di Bowie, prestarsi ad un ruolo attoriale, fare lo show?

Ce lo vedete a viaggiare tra i modi, perdersi in una dimensione irreale, galattica, interstellare? Ebbene la sorpresa è notevole. Agnelli la sua personalità non la perde (e come sarebbe possibile?), tant’è che canta nella maggior parte dei casi con l’asta (come un rocker e non come un performer) ed anche in apertura, quando è stravaccato in poltrona, canta microfono alla mano e non con l’archetto.

È disturbante? Rende tutto meno realistico? No, non ci crederete, ma funziona. Funziona perché quello che ne viene fuori ha più a che fare con l’opera rock che con il musical. Infatti la band suona dal vivo ed è in scena, infatti in scena c’è una tastiera che viene suonata live sia da Manuel Agnelli che da Casadilego (coprotagonista), infatti i movimenti scenici sono lontani anni luce da quelli canonici del teatro musicale e infatti tante altre cose.

La presenza scenica di Manuel Agnelli non si discute, perché sicuramente il carisma è dalla sua, ma quello che sorprende è la sua capacità di cantare Bowie, operazione che sembra impossibile e che a lui riesce bene perché semplicemente lo canta a modo suo, caricando i brani di volta in volta di quel vigore e di quella capacità viscerale di vomitare l’anima che ha lui quando canta.

Capacità in grado di trascinare i pezzi di Bowie in una dimensione più intrinsecamente rock, che a volte tocca vette elevatissime di commozione, ma senza snaturare i brani. Difficile a comprendersi, ma ascoltare per credere.

C’è poi la coprotagonista, Casadilego, proiezione mentale dello stesso Newton, che dovrà aiutarlo nell’impresa impossibile di abbandonare la Terra. La speranza, questo rappresenta dichiaratamente la creatura immaginaria, mostrandoci come anche nella mente di un uomo solo, bloccato nel suo passato, perennemente ubriaco e senza prospettive, bloccato sulla Terra ed incapace di tornare in cielo, in qualche modo, da qualche parte, sopravviva la speranza.

Molto brava lei, nella sua intensissima interpretazione di Life on Mars. Il resto del cast, composto da Michela Lucenti (che ha curato anche le coreografie), Dario Battaglia, Attilio Caffarena, Maurizio Camilli, Noemi Grasso, Maria Lombardo, Giulia Mazzarino, Camilla Nigro, Isacco Venturini, si rivela all’altezza del compito, sostenuto dal supporto fondamentale della band (Laura Agnusdei, Jacopo Battaglia, Ramon Moro, Amedeo Perri, Giacomo Rossetti, Stefano Pilia, Paolo Spaccamonti), e riesce a portare in scena in maniera credibile e coinvolgente un’opera che fonde generi molto distanti tra loro: il rock, certo, ma anche la recitazione, la danza e la videoarte, superando gli schemi teatrali tradizionali.

La recitazione non è eccelsa (entrambi i protagonisti sono alla loro prima prova attoriale), ma nella commistione di generi funziona, non ha un ruolo di primo piano e va bene così, perché in realtà non deve sovrastare il resto.

La drammaturgia a volte singhiozza, ma anche questo non infastidisce, perché forse quel singhiozzare rende meglio lo stato d’animo, trascina nel dramma, invece che condurre lo spettatore per mano, lo sbatte lì, disperso nel mondo, come il protagonista. Meravigliosa la versione finale di Heroes. Non si può non dirlo.

Lazarus, un atto unico di un’ora e cinquanta che tiene lo spettatore incollato alla poltrona come durasse un quarto d’ora, non è un musical. Ci sono la musica, la recitazione, la danza, le installazioni, le proiezioni, la scenografia, ma non ha nulla a che vedere con il mondo pop e d’intrattenimento leggero del musical.

Forse per Lazarus va scomodata la vecchia definizione di teatro totale, quello che era interessato all’opera teatrale nella sua polidimensionalità e che in Lazarus sembra rivivere. Alla fine il Napoli lo Scudetto lo ha conquistato, ma la sera seguente.

Quindi le strade sono state lasciate libere alla circolazione, tutti sono tornati tranquillamente a casa ed ai fini della visione dello spettacolo nessuno spettatore è rimasto bloccato tra due mondi. Foto: Fabio Lovino. Fonte: Teatro Mercadante.

 

Nicoletta Severino

Nicoletta Severino

Danzatrice e coreografa, dirige la scuola di danza "Attitude" di Napoli. Proviene da studi filosofici e collabora con varie testate, trattando temi di attualità, di arte e di cultura.

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