Istat: matrimoni e unioni civili in ripresa ma ancora non ai livelli pre-pandemia
ROMA. Nel 2021, secondo i dati diffusi oggi dall’Istat, sono stati celebrati in Italia 180.416 matrimoni, l’86,3% in più rispetto al 2020, anno in cui,a causa della crisi pandemica, molte coppie avevano rinviato le nozze. L’aumento non è stato però sufficiente a recuperare quanto perso nell’anno precedente (la variazione rispetto al 2019 è infatti pari a -2,0%).
I matrimoni religiosi, quasi triplicati rispetto al 2020, sono in calo (-5,1%) rispetto al periodo pre-pandemico. Nei primi nove mesi del 2022 i dati provvisori indicano un lieve aumento dei matrimoni (+4,8% rispetto allo stesso periodo del 2021) dovuto esclusivamente alla crescita dei matrimoni civili (+10,8%). Crescono in misura marcata (+32,0%) le unioni civili.
Prime nozze in aumento dopo il crollo del 2020
Nel 2021 i matrimoni sono stati 180.416, quasi il doppio del 2020. La crescita non ha colmato la perdita dell’anno della crisi pandemica che, con la celebrazione di 96.841 matrimoni soltanto, aveva portato ad un calo pari a -47,4% rispetto al 2019. Continua così la tendenza alla diminuzione della nuzialità che si osserva in Italia da oltre quarant’anni.
La transizione alla vita adulta segue percorsi molto diversi rispetto al passato, quando il motivo prevalente di uscita dal nucleo di origine era legato alla necessità di formare una nuova famiglia attraverso le nozze.
Secondo i dati dell’Indagine Famiglie e soggetti sociali (2016), per le generazioni più recenti di uomini (1982-1986), la convivenza supera il matrimonio (22,5% contro 21,8% di coloro che lasciano la casa dei genitori entro il trentesimo compleanno).
Per le donne, l’uscita dalla famiglia di origine si contraddistingue ancora per la scelta preponderante del matrimonio (40% tra le nate negli anni Ottanta), seguita da quella della convivenza more uxorio, con percentuali via via crescenti di generazione in generazione.
I primi matrimoni (142.394 nel 2021, 78,9% dei matrimoni totali), più che dimezzati nel 2020 rispetto al 2019, riprendono a salire fino a sfiorare i livelli registrati prima della pandemia (-2,6% rispetto al 2019).
A crescere sono soprattutto le prime nozze con sposo e sposa in età tra 30 e 34 anni (rispettivamente +140,9% e +148,5%), le classi di età più penalizzate nell’anno della pandemia.
La diminuzione dei primi matrimoni è speculare alla progressiva diffusione delle libere unioni (convivenze more uxorio) più che triplicate tra il biennio 2000-2001 e il biennio 2020-2021 (da circa 440mila a 1 milione e 450mila). L’incremento è da attribuire soprattutto alle libere unioni di celibi e nubili.
Negli ultimi due decenni, inoltre, il netto ridimensionamento numerico delle nuove generazioni, dovuto alla fecondità bassa e tardiva osservata a partire dalla metà degli anni Settanta, ha prodotto un effetto strutturale negativo sui matrimoni, così come sulle nascite.
Man mano che queste generazioni, molto meno numerose di quelle dei loro genitori, entrano nella fase della vita adulta si riduce, infatti, la numerosità della popolazione in età da matrimonio e, di conseguenza, a parità di propensione a sposarsi, cala il numero assoluto di nozze.
La continua diminuzione delle celebrazioni nel lungo periodo non è risultata esente da oscillazioni di carattere congiunturale. Per esempio, nel 2000 è stato osservato un aumento dei matrimoni da collegare al desiderio di celebrare le proprie nozze all’inizio del nuovo millennio.
All’opposto, nel triennio 2009-2011, il calo è stato particolarmente accentuato e dovuto al crollo delle nozze dei cittadini stranieri, scoraggiati sia dalle modifiche legislative volte a limitare i matrimoni di comodo sia dall’impatto della crisi del 2008.
In aumento anche le seconde nozze
L’aumento dell’instabilità coniugale contribuisce alla diffusione delle seconde nozze e delle famiglie composte da almeno una persona che abbia vissuto una precedente esperienza matrimoniale, fenomeno che genera nuove tipologie familiari.
Al tendenziale aumento di questa tipologia di matrimoni, registrato soprattutto nel biennio 2015-2016 come conseguenza dell’introduzione nel 2015 del “divorzio breve”, ha fatto seguito una progressiva stabilizzazione.
La pandemia ha colpito in maniera meno pesante i secondi matrimoni (-28,6% nel 2020 rispetto al 2019), cosicché la loro successiva ripresa, pur meno incisiva rispetto ai primi matrimoni, è tale da superare i livelli del 2019 (38.022 nel 2021, +0,2%).
In base allo stato civile degli sposi, la tipologia più frequente tra i matrimoni successivi al primo è quella in cui lo sposo è divorziato e la sposa è nubile (sono 12.444, il 6,9% dei matrimoni celebrati nel 2021); seguono le celebrazioni in cui entrambi gli sposi sono divorziati (6,3%) e quelle in cui la sposa è divorziata e lo sposo è celibe (5,7%).
I matrimoni successivi al primo sono più diffusi nei territori in cui si registrano i tassi di divorzio più elevati, ovvero nelle regioni del Nord e del Centro. Le percentuali più alte di matrimoni con almeno uno sposo alle seconde nozze sul totale delle celebrazioni si osservano in Liguria (36,1%) e Friuli-Venezia Giulia (32,5%). Le incidenze più basse si rilevano, invece, in Basilicata (8,0%) e Calabria (8,6%).
Più di un matrimonio su 10 con almeno uno sposo straniero
Nel 2021 sono state celebrate 24.380 nozze con almeno uno sposo straniero, in aumento del 29,5% rispetto all’anno precedente. I matrimoni misti (in cui uno sposo è italiano e l’altro straniero) ammontano a oltre 18mila e continuano a rappresentare la parte più consistente dei matrimoni con almeno uno sposo straniero (75,1%).
Quasi i tre quarti dei matrimoni misti riguardano coppie con sposo italiano e sposa straniera (13.703, pari al 7,6% delle celebrazioni a livello nazionale nel 2021). Le donne italiane che hanno scelto un partner straniero sono 4.595, il 2,5% del totale delle spose.
Le combinazioni di cittadinanza dei matrimoni misti sono molto diverse a seconda del genere degli sposi. Nel 2021, gli uomini italiani hanno sposato una cittadina rumena nel 19,2% dei casi, ucraina nel 13,2% e russa nel 7,1%. Le donne italiane che hanno contratto matrimonio con un cittadino straniero hanno invece più frequentemente uno sposo di cittadinanza marocchina (12,1%) o albanese (9,7%).
In flessione anche il “turismo matrimoniale”
Il nostro Paese esercita una forte attrazione per numerosi cittadini provenienti dall’estero, soprattutto da paesi a sviluppo avanzato, che scelgono l’Italia come luogo di celebrazione delle nozze.
A partire dal 2020 anche questa tipologia di nozze (coppie di sposi entrambi stranieri in cui nessuno dei due è residente) ha subito una consistente flessione a causa delle restrizioni imposte alla mobilità internazionale, passando dai 4.094 del 2019 ai 918 del 2020 (-77,6%) ai 1.574 del 2021 (-61,6% sul 2019).
I matrimoni tra stranieri in cui almeno uno dei due sposi risulti residente in Italia (depurati quindi dall’effetto del “turismo matrimoniale”), nel 2021 sono stati 4.508, 1.000 in più rispetto al 2020. I più diffusi sono quelli tra cittadini rumeni (1.108 nel 2021; 24,6% dei matrimoni tra sposi stranieri residenti) e quelli tra nigeriani (871; 19,3%).
Le ragioni di questi diversi comportamenti nuziali vanno ricercate, verosimilmente, nei progetti migratori e nelle caratteristiche culturali proprie delle diverse comunità, oltre che nella prevalenza maschile o femminile che le collettività presentano.
In molti casi i cittadini immigrati si sposano nel Paese di origine e i coniugi affrontano insieme l’esperienza migratoria, oppure si ricongiungono nel nostro Paese quando uno dei due si è stabilizzato.
La quota di matrimoni con almeno uno sposo straniero è notoriamente più elevata nelle aree in cui è più stabile e radicato l’insediamento delle comunità straniere, cioè al Nord e al Centro. In queste due aree del Paese quasi 1 matrimonio su 5 riguarda almeno uno sposo straniero mentre nel Mezzogiorno questa tipologia di matrimoni è pari al 6,6%. A livello regionale in cima alla graduatoria vi sono la provincia autonoma di Bolzano/Bozen (22,3%), l’Emilia-Romagna (20,8%) e l’Umbria (20,2%).
Aumentano i matrimoni misti con nuovi cittadini
La possibilità di distinguere la cittadinanza degli sposi italiani, dalla nascita o per acquisizione, permette di far luce sui comportamenti nuziali in base al background migratorio.
Tra i matrimoni misti, oltre uno su 10 coinvolge uno sposo italiano per acquisizione; se consideriamo i matrimoni misti tra sposa italiana e sposo straniero, in uno su quattro la sposa italiana è di origine straniera. Questa quota era molto più contenuta, circa il 6%, nel 2012.
Il consistente aumento della presenza di italiani per acquisizione al momento del matrimonio è dovuto a molteplici fattori. Innanzitutto, negli anni recenti l’acquisizione è diventata più consistente, in linea con un più avanzato processo di integrazione dei cittadini stranieri, ma, allo stesso tempo, si assiste a una progressiva diminuzione della quota di acquisizioni per matrimonio.
La tipologia di matrimonio misto, quindi, sta cambiando nel tempo, includendo una quota crescente di neo-cittadini italiani che alla nascita avevano la stessa cittadinanza del partner straniero.
Più di un matrimonio su due celebrato con rito civile
La quota dei matrimoni civili osservata nel 2020 (71,1%) aveva registrato un eccezionale aumento a causa delle misure di contenimento dell’emergenza sanitaria, che hanno colpito soprattutto le celebrazioni con rito religioso. Nel 2021 tale quota si ridimensiona (54,1%) riallineandosi all’andamento crescente osservato negli anni pre-pandemici (52,6% nel 2019).
Il rito civile è chiaramente più diffuso nelle seconde nozze (95,0%), essendo in molti casi una scelta obbligata, e nei matrimoni con almeno uno sposo straniero (91,9% contro il 48,2% dei matrimoni di sposi entrambi italiani). La scelta del rito civile va però diffondendosi sempre di più anche nel caso dei primi matrimoni (43,1% nel 2021).
Considerando i primi matrimoni tra sposi entrambi italiani (89,0% del totale dei primi matrimoni) l’incidenza di quelli celebrati con rito civile è del 37,5% nel 2021 (33,4% nel 2019 e 20,0% nel 2008).
Per tale tipologia di coppia è spiccata la variabilità territoriale: si riscontrano incidenze di celebrazioni con rito civile più basse nel Mezzogiorno (25,4%) e più alte nel Centro (47,5%).
La scelta del regime patrimoniale di separazione dei beni, tendenzialmente in crescita rispetto al passato (62,7% nel 2008, 40,9% nel 1995), mostra una lieve contrazione nel 2021, risultando l’opzione prescelta dagli sposi nel 73,4% dei casi (74,7% nel 2020).
Ancora in diminuzione la nuzialità tra i giovani
Il mutamento nei modelli culturali, nonché l’effetto di molteplici fattori, quali l’aumento diffuso della scolarizzazione e l’allungamento dei tempi formativi, le difficoltà nell’ingresso nel mondo del lavoro e la condizione di precarietà del lavoro stesso hanno comportato, negli anni, una progressiva posticipazione del calendario di uscita dalla famiglia di origine.
In meno di 20 anni la quota di giovani che resta nella famiglia di origine fino alla soglia dei 35 anni è cresciuta di quasi tre punti percentuali. Questa protratta permanenza comporta anche un effetto diretto sul rinvio delle prime nozze.
Tale effetto si amplifica nei periodi di congiuntura economica sfavorevole spingendo i giovani a ritardare ulteriormente, rispetto alle generazioni precedenti, le tappe dei percorsi verso la vita adulta, tra cui quella della formazione di una famiglia. Sul posticipo del primo matrimonio incide anche la diffusione delle convivenze prematrimoniali.
Grazie al tasso di primo-nuzialità totale, una misura trasversale del momento attraverso la quale si può valutare quanti primi matrimoni siano attesi da una ipotetica generazione di 1.000 individui, è possibile far luce sui processi di formazione delle coppie, di quelle giovani in particolare.
Tale indice segnala, in base a quanto registrato nel 2021, un’intensità di 412 primi matrimoni per 1.000 uomini e 458 per 1.000 donne; valori che raddoppiano rispetto all’anno precedente, riposizionandosi sui livelli del 2019 (+0,4% e +0,6% rispettivamente per maschi e femmine).
Come è possibile notare dalle curve di primo-nuzialità, la propensione a sposarsi diminuisce tra i più giovani (-16,0% e -9,7% rispetto al 2019, rispettivamente per uomini e donne fino a 30 anni), mentre presenta un recupero a partire dai 30 anni in poi (+6,3% e +8,4%, rispettivamente per uomini e donne). A livello aggregato, la tendenza al rinvio delle prime nozze porta a un’età media di 34,3 e 32,1 anni rispettivamente per uomini e donne.
Unioni civili più diffuse nel Nord-ovest
Il 5 giugno 2016 è entrata in vigore la legge che ha introdotto in Italia l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. Nel corso del secondo semestre 2016 si sono costituite 2.336 unioni civili, un numero particolarmente consistente, che ha riguardato coppie da tempo in attesa di ufficializzare il proprio legame affettivo. Al boom iniziale ha fatto poi seguito una progressiva stabilizzazione.
Nel 2021 sono state costituite 2.148 unioni civili tra coppie dello stesso sesso presso gli uffici di Stato Civile dei Comuni italiani, che con un aumento del 39,6% rispetto al 2020 (anno di generale contrazione) tornano sostanzialmente ai livelli del 2019 (2.297 unioni civili).
Il 34,5% delle unioni civili è nel Nord-ovest, seguito dal Centro (27,2%). Tra le regioni in testa si posiziona la Lombardia con il 21,8%; seguono Lazio (13,8%) ed Emilia-Romagna (10,1%). Considerando i tassi per 100mila residenti, la Toscana si colloca al primo posto (5,6 per 100mila) seguita dal Lazio (5,2) e dalla Lombardia (5,0).
Emerge con particolare evidenza il ruolo attrattivo di alcune metropoli. Nel 2021 l’8,5% delle unioni civili si è costituito nel Comune di Roma e il 6,6% in quello di Milano.
Si conferma anche nel 2021 la prevalenza di unioni tra uomini (1.225 unioni, il 57,0% del totale), pur se in diminuzione rispetto sia all’anno precedente (62,4%) sia all’anno pre-pandemico (62,2%). La ripartizione con la più alta incidenza delle unioni tra uomini è il Sud (59,3%) mentre tra le regioni spicca l’Umbria (68,6%).
Età più matura per chi si unisce civilmente
Fino al 2019 la distribuzione per età degli uniti civilmente evidenziava un progressivo “ringiovanimento” rispetto al biennio 2016-2017. L’introduzione nel nostro ordinamento di questo istituto giuridico, infatti, ha consentito inizialmente a coppie anche in età più avanzata – che da tempo aspettavano tale possibilità – di ufficializzare la propria famiglia e da qui il profilo più maturo che ha contraddistinto questa prima fase (con un’età media degli uomini superiore ai 49 anni e delle donne intorno ai 46 anni).
Negli anni a seguire il profilo per età delle unioni si è progressivamente ringiovanito (nel 2019 l’età media degli uomini era 44,5 anni e delle donne 39,6). Nell’anno della pandemia, tuttavia, l’età media all’unione civile cresce in misura eccezionale: 47,2 anni per gli uomini (+2,7 anni) e 41,8 per le donne (+2,2 anni). Nel 2021 si contrae nuovamente: quasi un anno in meno per gli uomini e oltre due anni per le donne, arrivando rispettivamente a 46,4 e 39,4 anni.
Nel 2021 la quota degli uomini con almeno 40 anni che si uniscono civilmente è pari al 33,9%, ben al di sopra del 21,6% del 2020 ma ancora inferiore ai livelli pre-pandemici (40,3% nel 2019). Per le donne, nel 2021 si consolida il processo di ringiovanimento già avviatosi nel periodo pre-pandemico, mettendo in evidenza che oltre la metà di esse (55,6%) ha meno di 40 anni (51,8% del 2019).
La struttura per età di chi entra in unione è molto diversa da quella di chi si sposa, soprattutto tra gli uomini. La quota di uomini che hanno costituito un’unione civile sotto i 40 anni è circa la metà di quella osservata per gli sposi (rispettivamente 33,9% e 64,4%). In altre parole, gli uniti civilmente presentano valori consistenti di unioni in classi di età in cui i matrimoni solitamente cominciano a diradarsi.
Nel 2021 per le donne si osservano differenze evidenti prima dei 30 anni: in questa fascia di età si colloca il 14,1% delle unite civilmente contro il 29,0% delle spose; valori maggiormente in linea si osservano invece nella fascia di età 30-39 anni (rispettivamente 41,5% e 44,4%).
Segnali di ripresa nel 2022 per matrimoni e unioni civili
Secondo i dati provvisori dei primi nove mesi del 2022 i matrimoni mostrano un lieve aumento rispetto allo stesso periodo del 2021 (+4,8%); questa ripresa delle nozze non è sufficiente a recuperare quelle perse nel 2020, ma è il primo vero piccolo segnale di recupero, dal momento che, nel 2021, nonostante la forte crescita rispetto al 2020, i livelli erano ancora inferiori a quelli del 2019.
Mettendo a confronto il 2022 con il 2021, crescono soprattutto i secondi matrimoni (+15,6%), mentre i primi matrimoni aumentano in misura molto più contenuta (+2,1%) e, tra questi, l’aumento è dovuto esclusivamente al rito civile (+8,2%). I primi matrimoni religiosi mostrano, infatti, una diminuzione del 2,0%.
Le unioni civili, a loro volta, aumentano di un terzo nei primi nove mesi del 2022, lasciando ipotizzare un parziale recupero di quanto perso nell’anno della pandemia.
Instabilità coniugale ai livelli pre-pandemia
Il trend dei divorzi è stato sempre crescente dal 1970 (anno di introduzione del divorzio nell’ordinamento italiano) fino al 2015, anno in cui il numero di divorzi ha subito una forte impennata (+57,5% in un solo anno).
Tale aumento è da mettere in relazione all’entrata in vigore di due importanti leggi che hanno modificato la disciplina dello scioglimento e della cessazione degli effetti civili del matrimonio: il Decreto legge 132/2014, che ha introdotto le procedure consensuali extragiudiziali (quindi presso gli Uffici di Stato Civile o tramite negoziazioni assistite da avvocati senza più il ricorso ai Tribunali) e soprattutto la Legge 55/2015 (c.d. “Divorzio breve”) che ha fortemente ridotto l’intervallo di tempo tra separazione e divorzio (12 mesi per le separazioni giudiziali e sei mesi per quelle consensuali) determinando un vero boom dei divorzi.
La procedura, che si perfeziona direttamente presso gli Uffici di Stato Civile (ex art.12), introdotta dal D.l.132/2014, è preclusa in caso di presenza di figli minori o anche maggiorenni economicamente non autosufficienti. I figli minori sono più coinvolti nelle separazioni rispetto ai divorzi, per via della struttura per età più giovane di chi si separa, di conseguenza il ricorso alla procedura ex art. 12 è più frequente nei divorzi.
I suddetti provvedimenti, oltre all’effetto diretto sull’aumento delle separazioni e soprattutto dei divorzi, hanno innescato indirettamente una crescita delle seconde nozze, in particolare nel biennio 2015-2016.
Dopo l’aumento registrato tra il 2015 e il 2016 (da 91.706 a 99.611; +8,6%), le separazioni hanno mantenuto uno stesso livello con piccole oscillazioni fino al 2019.
Ma anche l’andamento dell’instabilità coniugale ha subito l’impatto della pandemia, soprattutto nel periodo delle chiusure degli uffici e delle restrizioni alla mobilità.
In particolare, nel caso dei provvedimenti presso i Tribunali, la conclusione dei procedimenti del 2020 e del 2021 ha riguardato separazioni e divorzi iniziati negli anni precedenti.
Nel 2021, le separazioni sono state complessivamente 97.913 (+22,5% rispetto all’anno precedente), tornando esattamente ai livelli pre-pandemici. Nello stesso anno i divorzi sono stati 83.192, il 24,8% in più rispetto al 2020 e il 16,0% in meno nel confronto con il 2016, anno in cui i divorzi sono stati finora più numerosi (99.071).
La composizione tra separazioni/divorzi consensuali e giudiziali, nel 2021, risulta pressoché invariata rispetto all’anno precedente. L’85,5% delle separazioni si è concluso consensualmente (percentuale rimasta pressoché stabile nell’ultimo decennio).
Più contenuta è la quota di divorzi consensuali (70,9%) ma sostanzialmente in linea con l’anno precedente (71,7%). Dopo il picco del 2016 (78,2%) la proporzione di divorzi consensuali decresce per tornare in prossimità del valore di inizio decennio (72,4% nel 2010).
Considerando i dati provvisori dei primi tre trimestri 2022, con riferimento alle separazioni concluse in Tribunale, risulta una diminuzione di circa il 15% per quelle consensuali e un aumento di circa il 5% per quelle giudiziali, rispetto a quelle dei primi nove mesi dell’anno precedente.
Nel 2021 l’aumento delle consensuali in Tribunale era stato molto consistente, mentre le separazioni giudiziali, caratterizzate da una maggiore durata dei procedimenti, stanno mostrando un trend di aumento più diluito nel tempo.
Per i divorzi presso i Tribunali l’andamento del 2022 si presenta più in linea con quanto registrato nei primi mesi dell’anno precedente,con un lieve aumento della componente consensuale (già in deciso rialzo nel 2021) e un calo di circa il 3% dei divorzi con rito giudiziale.
Separazioni e divorzi non più soltanto in Tribunale
Nel complesso dei provvedimenti consensuali (sia extragiudiziali che non), più di 1 separazione consensuale su 4 e più di 4 divorzi consensuali su 10 avviene al di fuori del Tribunale.
I percorsi consensuali extragiudiziali (D.l. 132/2014) riguardano rispettivamente il 23,8% di tutte le separazioni e il 29,7% dei divorzi. Negli accordi extragiudiziali per separarsi o divorziare le quote delle negoziazioni assistite da avvocati (ex art. 6) sono, rispettivamente, il 41,8% e il 29,4%. Infatti, la componente più consistente è quella degli accordi extragiudiziali direttamente presso gli uffici di Stato Civile (ex art. 12).
Nel 2021, 13.551 separazioni e 17.469 divorzi sono stati effettuati direttamente presso il Comune (con tempi e costi molto più bassi rispetto alle altre fattispecie): si tratta del 13,8% di tutte le separazioni e del 21,0% di tutti i divorzi, con quote leggermente inferiori a quelle dei due anni precedenti.
La propensione a ricorrere agli accordi extragiudiziali di divorzio è diffusa in tutto il Paese, ma soprattutto tra i residenti nel Nord d’Italia. Anche la preferenza verso la procedura ex art.12 (direttamente presso lo Stato Civile) o verso quella ex art. 6 (negoziazioni assistite da avvocati) varia sul territorio nazionale.
Le regioni in cui il ricorso alle procedure ex art. 12 è più diffuso, con il vincolo di tutte le condizioni già ricordate, sono la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (33,3%), la provincia autonoma di Bolzano/Bozen (30,9%) e l’Emilia-Romagna (29,3%). La quota di accordi ex art. 6 raggiunge il suo valore massimo nel Lazio (17,8%), in Sicilia (12,3%) e in Campania (12,2%).
Sul versante dei divorzi consensuali conclusi in Tribunale, le regioni in cui trovano maggiore diffusione sono la provincia autonoma di Bolzano/Bozen (50,9% sul totale dei divorzi), quella di Trento (49,6%) e le Marche (48,8%). Il ricorso ai divorzi giudiziali è invece più ampio nei Tribunali di Sardegna (44,4%), Sicilia e Calabria (entrambe 39,1%).
Considerando i divorzi per 100mila coniugati, a livello nazionale l’indicatore è pari a 303,7, in aumento rispetto all’anno precedente. A livello regionale, in cima alla graduatoria ci sono Sardegna (389,2), Liguria (375,5), Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (357,6) e Piemonte (353,5).