Un’intervista underground: tre domande ad Andrea Appino
PARETE. Per capire fino in fondo l’animo di cantautore, il suo modo di sentire, bisogna leggerne i testi; nel caso di Andrea Appino, voce e chitarra, nonché autore dei testi degli Zen Circus, con all’attivo anche due album solisti – col primo dei quali vincitore della Targa Tenco nel 2013 -, quest’assioma si rivela particolarmente efficace.
Forse la definizione di cantautore non è perfettamente calzante per Appino, almeno non nel senso della tradizione cantautorale italiana. Gli Zen Circus nell’arco della loro ormai ultraventennale carriera, hanno attinto a piene mani al repertorio punk rock, folk punk, alternative, indie o come cavolo vi pare (anche se la definizione di indie è ormai un calderone onnicomprensivo in cui è possibile trovare tutto ed il contrario di tutto), ma Appino ha dimostrato anche una grande capacità autoriale, che nel tempo si è andata sempre più affinando, facendone una delle migliori penne in circolazione. Tanto che se proprio volessimo mettere delle etichette, forse la definizione di rock d’autore, oggi come oggi, non sarebbe sbagliata.
Quello che salta immediatamente all’occhio nella scrittura di Appino è un’abilità a scavare nei meandri dell’animo umano, raccontarne i drammi, l’eterno conflitto tra la vita e la morte, con uno sguardo sornione e una bella dose di ironia (quella tipica di chi ha un’intelligenza vivace), senza vittimismo, senza tutti i “povero me” di circostanza, con uno sguardo sempre teso al sociale, alla dimensione di vita collettiva, ai tristi eventi della nostra contemporaneità, ai reietti, a quelli ai margini, a chi sicuramente al centro delle canzoni non c’è mai.
È una capacità introspettiva, quella di Appino, mai ego-riferita, o per lo meno mai fine a stessa, una particolare capacità di trasformare un’interiorità personalissima in qualcosa di tutti.
Ho incontrato Andrea la sera del 29 luglio 2022 dopo il concerto degli Zen Circus all’Eco Summer festival a Parete (Caserta), la situazione era estremamente sui generis. L’organizzazione del Festival non garantiva interviste con gli artisti per vari motivi, sicché quanto state per leggere non era in programma.
Ho incontrato Appino dopo il concerto, dicevo, tra un nugolo di fan che gli chiedeva foto, autografi o semplicemente si complimentava; lui sorrideva, beveva birra ed accendeva una sigaretta dopo l’altra, era compiaciuto. È stato così, in maniera quasi impulsiva, che in quel caos di persone, entusiasmi, birre, sigarette e sorrisi, dopo esserci salutati, gli ho chiesto se non fosse possibile fare una breve intervista: «Diobbuòno – mi ha risposto – certo che si può, facciamola. Facciamola ora, vai, spara tre domande». Ecco, questo è Andrea Appino, per capirci.
Spiazzatissima e contenta ho tirato fuori il cellulare, mentre lui annunciava agli astanti che stavamo per fare l’intervista tutti assieme, con «il pubblico delle grandi occasioni», ha detto.
È venuta fuori un’intervista sgangherata e underground, come forse meglio non poteva essere, come le cose che vengono fuori così, spontaneamente, tra i fan che ascoltavano e lui che coinvolgeva tutti.
La prima domanda mi sembrava inevitabile e necessaria: nessun mondo come quello della musica ed in generale dell’arte, ha subito altrettanto duramente le restrizioni prima e le conseguenze poi della situazione pandemica ed è di questo che gli ho chiesto, di com’è stato tornare finalmente a suonare live dopo la pandemia.
«È bellissimo, soprattutto perché il tour dello scorso anno – e ha chiesto ai presenti se qualcuno ci fosse stato, poi ha fatto un cenno di inchino a chi era presente – è stato bellissimo, però tutti seduti… vuoi mettere? Quindi siamo ben contenti». Ed ha indicato con un cenno del braccio il contesto diverso che si presentava ora, con tutti vicini e felici.
Inevitabile, in seconda istanza, chiedergli del loro ritorno in Campania: erano cinque anni che gli Zen Circus non suonavano da queste parti e dunque impossibile non chiedergli qualcosa a riguardo.
«Tornare in Campania è sempre bello ed è una vergogna essere mancati tanto, noi saremmo venuti trecento milioni di volte, ma voi non ci avete voluto – ha detto ridendo come fanno i bambini, poi è tornato serio – Non è vero, è sempre un casino, ma non solo da voi, anche in Sicilia, Puglia… chissà come mai… – l’ha detto senza nascondere po’ di retorica e con un tono un po’ dimesso – i motivi sono vari e sicuramente non imputabili a voi». I fan intanto annuivano e reclamavano la loro presenza più spesso; c’era, tra loro, chi proponeva un tour in Circumvesuviana, chi segue gli Zen Circus capirà.
L’ultima domanda ho deciso di giocarmela su un disco – dei live avevamo già detto – ho scelto l’ultimo e gli ho chiesto come mai abbiano deciso fare un album di featuring: l’ultimo disco degli Zen Circus Caro fottutissimo amico, racchiude infatti 10 tracce in collaborazione con vari artisti del panorama musicale nazionale.
«Perché non avevamo voglia di scrivere le canzoni, così le hanno scritte gli altri. – ha detto scherzando– Più che un disco – ha aggiunto, stavolta senza scherzare – è una compilation di collaborazioni con amici, ne avevamo 5 e sono diventate 10, ecco», è venuto verso il telefono ed ha fatto una smorfia.
Avrei voluto chiedere tante e tante altre cose ad Andrea, avrei voluto chiedergli com’è da grandi fare la vita che tutti sognano da adolescenti, avrei voluto chiedergli cosa lo ispira, qual è la sua idea della musica e forse anche perché la musica, avrei voluto chiedergli anche come sta, ma soprattutto avrei voluto chiedergli se abbia mai letto l’Ecce Homo di Nietzsche.
Ma il contesto non era quello giusto e la mia in fondo era solo un’intervista rubata; chissà, magari un giorno ne faremo una long version con un tono, un contesto e delle domande diverse.
Se c’è un modo su tutti per capire l’animo di un cantautore quello è leggere i suoi testi. Se leggete i testi di Andrea Appino vi ritroverete un uomo di oltre quarant’anni che riesce a sentire come un’adolescente bulimica, si chiama sensibilità ed è cosa rara. Foto: Raffaele Bove.