Il medico di Pompei che cura i bimbi africani torna in Tanzania: «Tutto complicato dalla pandemia»
POMPEI. A febbraio il dottor Fausto D’Ermo tornerà in Tanzania. L’odontoiatra di Pompei ci aveva già raccontato in una precedente intervista il suo impegno per portare in Africa le sue competenze di medico. Abbiamo voluto concederci nuovamente una chiacchierata con lui, per scoprire come e se la sua missione di volontariato è cambiata in tempo di pandemia. Ma prima facciamo un passo indietro: cosa ci aveva detto all’inizio del 2020?
La sua avventura era iniziata nel 2018 con un banale scambio di mail. Era venuto così a conoscenza di questo centro di riabilitazione per bambini disabili gestito dai Frati Cappuccini, dotato anche di un piccolo dispensario e di uno studio odontoiatrico attrezzato in maniera rudimentale, dove però mancava il medico.
Lui e altri volontari così si alternano periodicamente per garantire il servizio alla popolazione locale, ma se già all’epoca non era semplice trovare medici disposti ad affrontare il viaggio, il Covid ha complicato ulteriormente le cose. «Il numero dei volontari è precipitato – ci ha raccontato – tanto che quando a luglio sono tornato lì, il medico mancava da due anni. Ho trovato una situazione disastrosa con patologie gravissime».
Quello che infatti accade, in villaggi rurali dove la povertà è ai massimi livelli, è che le persone non abbiano accesso ai medicinali né alle più banali cure mediche. Molti si rivolgono a pseudo-stregoni, addirittura a qualcuno è capitato che provassero ad estrargli un molare con martello e cacciavite.
Non sorprende allora che anche quelli che noi consideriamo piccoli problemi di salute spesso lì si aggravino fino a compromettere irrimediabilmente la vita delle persone. Il servizio offerto dai Frati Cappuccini è quindi indispensabile, ma la carenza di volontari e di risorse si fa sentire. «L’ambulatorio è ormai ai ferri corti. Mi trovo a lavorare praticamente con le mani. Inoltre sempre meno persone sono disposte a partire, scoraggiate anche dalla pandemia».
In realtà, ci ha spiegato D’Ermo, la situazione lì non appare gravissima, anche se è difficile pronunciarsi perché non vengono fatti tamponi e non ci sono dati certi. Chi parte, ovviamente, si vaccina e prende tutte le precauzioni, sia contro il Covid che contro le altre gravi malattie che in Africa fanno morti ogni giorno, come febbre gialla, colera, epatite, e così via.
Ma al di là dei rischi legati alla salute, la pandemia ha complicato le missioni umanitarie anche per altri aspetti. La prassi vuole, infatti, che chi torna in Italia debba sottoporsi al tampone prima di imbarcarsi e aspettare le 48 ore necessarie per ricevere l’esito. Una volta rientrato, poi, è obbligato a un periodo di quarantena. Una trafila che molti non sono disposti ad affrontare e che costringerà i volontari a lavorare in ambulatorio per due giorni in meno rispetto al previsto.
Per chi sceglie di fare la sua parte nonostante tutto, però, quella in Tanzania è un’esperienza che in termini umani ripaga moltissimo. Un viaggio indimenticabile alla scoperta di un altro mondo, l’occasione per incontrare gli altri e sé stessi come non si è mai fatto prima.
E per viverla non c’è bisogno di essere medici, chiunque può contattare il dottor D’Ermo e trovare il modo di rendersi utile, sia contribuendo alla raccolta fondi destinata alla missione, sia unendosi ai volontari per mettersi a disposizione dei piccoli pazienti del centro di riabilitazione: bambini con disabilità gravi che hanno bisogno sì di assistenza medica, ma anche di abbracci, sorrisi e compagnia.