Sprofondare ne “L’abisso” di Davide Etnia. Il dramma dei migranti raccontato a teatro

NAPOLI. Si sprofonda nell’abisso. Lo fa Davide Etnia, attore, scrittore, regista e drammaturgo, in scena al Teatro Bellini di Napoli dall’11 al 16 gennaio 2022 con lo spettacolo intitolato appunto L’abisso, tratto dal suo romanzo Appunti per un naufragio, vincitore del Premio Mondello 2018, e lo fa il pubblico: io, noi, tutti, sprofondiamo.

È palermitano, Etnia, e ci fa un cunto. Si siede, beve un po’ d’acqua ed inizia a raccontare. A fianco a lui Giulio Barocchieri sottolinea il racconto ora con una chitarra acustica, ora con una elettrica, perché i tempi del racconto cambiano e allora cambia anche la musica.

Il racconto inizia con un sommozzatore, grosso, provato. Approdiamo a Lampedusa, al molo, assistiamo agli sbarchi assieme ad Etnia ed a suo padre e sprofondiamo con lui nel suo abisso di testimone diretto della storia e al contempo nel suo abisso personale.

Procede così il racconto lasciando in filigrana la storia personale di Etnia che si intreccia a quella che ci è così immediatamente contemporanea, lasciando che la vita e la morte si intreccino indissolubilmente sul molo di Lampedusa, tra le acque del Mediterraneo e nel suo vissuto personale, nella sua storia individuale.

È stato testimone diretto degli sbarchi, Etnia, e le sue parole sono piene di forza, di emozione, di dolore; scivolano fuori schiette, urgenti, perché sembrano sentire il bisogno intimo di uscire, di raccontare, di testimoniare, quello che mentre accade ti lascia senza parole, muto.

Muto come quel padre con il quale per la prima volta Etnia è stato a Lampedusa; un viaggio, quello a Lampedusa, che diventa un ritrovato legame tra i due e che indica la strada per sciogliere il silenzio.

Ma della sua storia personale fanno parte anche Silvia, la sua fidanzata, gli amici che lo ospitano a Lampedusa, la madre, suo zio che lotta contro il cancro, a sottolineare quel legame indissolubile tra la vita e la morte e quell’insondabile abisso di dolore.

È la vita che incontra il Teatro, perché è intrinsecamente teatro, la vita; è narrazione, è tangibile testimonianza di eventi, ed è forse anche l’invito ad essere tutti migranti, a lottare per trovare un approdo.

È come sentire il mare addosso, sei lì e quest’onda di parole ti travolge, vedi gli sguardi terrorizzati, senti le voci rotte dal pianto, piangi, soffri, ti commuovi; è tutto tangibile, non è narrazione, è Teatro, è vita, è realtà, sono parole, sono persone, sono corpi, dilaniati, sono vite, violate, è l’umanità che si ritrova in quanto è più lontano dall’umano possibile, è l’orrore che pare inconcepibile ed è anche la speranza sottile, sottilissima che sembra essere l’unica forza motrice, l’unico appiglio cui aggrapparsi per non sprofondare nell’abisso.

Si mette a fare marmellate nel suo racconto, Etnia, per dare sfogo al dolore, per sublimarlo, perché non riesce a parlare, perso in quell’abisso. Ma poi arrivano le lacrime, perché lo ha visto, l’abisso, lui, inghiottire i corpi, perché ha sentito le voci urlare il proprio nome: è tutto lì, nel suo monologo, crudo e fortemente emotivo, mai retorico, nelle pause tra le sue parole, nel suo piede che batte contro il pavimento, nella sua voce che si fa canto quando raccontare diventa troppo ostico.

Chiamatelo teatro sociale, chiamatelo teatro politico, chiamatelo come vi pare, la sostanza è che il teatro per essere veramente tale deve fare i conti sempre con quello che ci circonda.

E se racconta di uno dei drammi più forti della nostra attualità non lo fa perché noi fortunati possiamo borghesemente commuoverci seduti in poltrona, all’asciutto e salvi dall’altra parte del Mediterraneo. No, lo fa, al contrario, per assolvere pienamente al suo compito: quello di essere forma insostituibile del fare umano e specchio del suo intrinseco dramma.

Nicoletta Severino

Nicoletta Severino

Danzatrice e coreografa, dirige la scuola di danza "Attitude" di Napoli. Proviene da studi filosofici e collabora con varie testate, trattando temi di attualità, di arte e di cultura.

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