«Danzare è un modo per continuare un dialogo come artisti». Intervista al coreografo Igor Urzelai

NAPOLI. “Igor X Moreno” è una compagnia che opera tra Londra e Sassari, composta da Igor Urzelai (spagnolo) e Moreno Solinas (italiano). Urzelai e Solinas sono in Italia per presentare Idiot-Syncrasy al Teatro Nuovo (8 dicembre 2021) in occasione della stagione invernale del Campania Teatro Festival, stagione quasi interamente dedicata alla danza.

Incontro Igor pochi minuti dopo l’esibizione con addosso ancora tutte le sensazioni della scena, confuso, sorridente, affaticato di quella fatica che ti fa sentire bene e non posso esimermi dal chiedergli un commento a caldo, letteralmente, dato che ha saltato per un’ora.

«Sono letteralmente del colore delle poltrone», mi risponde (le poltrone sono chiaramente rosse). Poi diventa serio e mi dice: «È un momento molto particolare, appena due giorni fa ci chiedevamo cosa fare, se andare in scena. La ragione che ci ha spinto a dire di sì è la stessa che ci ha spinto a creare lo spettacolo, la resilienza, la resistenza… siamo contenti di averlo fatto» dice, e mentre lo dice se ne convince sempre più e sorride.

Certo, la sensazione del dopo cambia inevitabilmente rispetto alla condizione ed alla disposizione con cui si va in scena e la compagnia è andata in scena in un momento non facile a seguito di una perdita personale importante. Ciononostante ha deciso di partire da Londra ed essere qui stasera, a riprova del fatto che l’arte e la vita si intrecciano in maniera profonda, fino a portare in scena tutto ed a ritrovarsi felici di averlo fatto.

Igor e Moreno lavorano assieme, creano assieme. Questa cosa mi incuriosisce molto e quindi gli chiedo com’è sviluppare un processo creativo comune a partire da due identità per forza di cose diverse.

Mi risponde che è come le amicizie, come le relazioni, a volte va tutto liscio, «altre c’è da risolvere, da capire, da definire, quello è il momento in cui secondo me diventa interessante, costruttivo, nasce un conflitto positivo, che porta a definire ed a trovare chiarezza, difficile a momenti, ma anche molto bello, è un processo». Adesso ci siamo sintonizzati, abbiamo posto le basi, e l’intervista, quella vera, può cominciare.

Parlavi di processo, qual è stato quello che ha portato a questa produzione, mi racconti un po’ la genesi?
«Posso dire quello che mi ricordo adesso, perché sono passati un po’ di anni. Era un momento in cui avevamo deciso di prendere un po’ di tempo per ripensare come volevamo lavorare assieme, ma anche cosa ci spingeva a fare un lavoro da condividere, all’importanza di fare un lavoro coreografico, al perché farlo. Quando siamo partiti avevamo l’idea di voler cambiare il mondo con un lavoro coreografico, volevamo trovare una ragione per la quale condividere quel senso di perseveranza, di sopravvivenza, di condivisione, perché non volevamo che la gente ci guardasse e basta, ma volevamo creare un contesto di condivisione».

Hai già un po’ risposto alla domanda successiva, ossia: cosa vi aspettate dal pubblico quando portate in scena nello specifico questa performance?
«Proviamo a non avere aspettative ed a rispondere a quello che accade. Oggi c’è bisogno di più sforzo, perché siamo emozionalmente più stanchi, c’è stato un percorso molto specifico nell’ultima settimana, però è stato molto bello; poi c’è anche la mascherina che non favorisce la comunicazione ed aggiunge un po’ il dubbio».

Nel lavoro grande importanza assumono il loop, la ripetizione, come mai ha questa valenza così forte?
«Nel momento in cui stavamo creando, ma anche adesso, è importante per noi l’idea di esaurire qualcosa prima di presentarne un’altra, non tanto per esaurire chi guarda, ma per esaurire l’azione: in questo caso ancora di più perché volevamo lavorare la resistenza, la reiterazione, la persistenza, la ripetizione, scoprire sempre di più in quello che pensiamo di conoscere già e che quando lo riguardi sembra diverso e si trasforma».

E com’è oggi scoprire, riguardare, fare coreografia, essere danzatori, essere performer?
«Senza voler rappresentare le mille voci, per noi continua ad essere importante la condivisione e sentiamo molto la spinta a ricollegarci in qualche modo, in un periodo in cui è facile sentire una distanza, un isolamento. È un modo per non chiudere quella bolla e continuare un dialogo come artisti, ma anche come animali sociali».

Mi dice che spera di essersi espresso bene e che ci sia un senso nelle sue parole. Il senso c’è ed è chiarissimo ed è anche di una sincerità disarmante, di quelle che colpiscono per immediatezza e disponibilità, come lo spettacolo. Tale creatore, tale creazione. Foto: Kasper Hansen. Fonte: Campania Teatro Festival.

Nicoletta Severino

Nicoletta Severino

Danzatrice e coreografa, dirige la scuola di danza "Attitude" di Napoli. Proviene da studi filosofici e collabora con varie testate, trattando temi di attualità, di arte e di cultura.

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