Bermudas: quando la coreografia si fa campo magnetico
NAPOLI. Ci ha portati alle Bermudas restando ai Quartieri Spagnoli di Napoli, giovedì 28 ottobre 2021 la compagnia MK, inaugurando così la stagione 2021/22 del Teatro Nuovo.
Bermudas, la coreografia di Michele Di Stefano portata in scena, vincitrice del Premio UBU 2019 come miglior spettacolo di danza, fa parte del progetto NA-SA, una sorta di omaggio a Michele Di Stefano ed alla sua compagnia per i vent’anni di attività artistica, che intende riproporre, nei luoghi d’origine del coreografo, alcuni suoi lavori che hanno varcato i confini nazionali ottenendo ovunque riconoscimenti. Il progetto, a cura di Michele Mele, è sostenuto da Regione Campania/Scabec, Teatro Pubblico Campano, Casa del Contemporaneo e Comune di Salerno.
Bermudas è una coreografia proposta con composizioni variabili di interpreti, da un minimo di tre ad un massimo di tredici (Philippe Barbut, Biagio Caravano, Marta Ciappina, Andrea Dionisi; Sebastiano Geronimo, Luciano Ariel Lanza, Giovanni Leone, Flora Orciari, Annalì Rainoldi, Laura Scarpini, Loredana Tarnovschi, Alice Cheophe Turati, Francesca Ugolini), che trae la propria origine dalle teorie del caos, da una riflessione sui sistemi evolutivi della fisica, dalla considerazione che le cose complesse nascano dalla messa in campo di elementi semplici.
Michele Di Stefano ha creato un universo di movimento che, appunto, prende vita dalla casualità, dal modo di ogni danzatore in scena di riempire lo spazio, di dare forma alla musica, di sentire il ritmo, di interagire con gli altri corpi in movimento secondo la propria personale inclinazione, ma non solo: si tratta anche di saper gestire interazioni non volute eppure facenti parte della coreografia.
In scena c’è un caos ordinato, scomposto, eppure con una sua armonia, qualcosa che mostra la possibile coesistenza di rigore e possibilità, strapieno di movimenti fino a creare quasi un campo magnetico, da qui il titolo della performance.
Si tratta, per i danzatori, di trovare un modo che permetta al proprio movimento di coesistere con quello degli altri e di creare un movimento corale e condiviso, qualcosa che non si sa bene dove approderà, perché l’incontro con l’altro apre ad un viaggio il cui senso, più che il luogo d’arrivo, è spesso il viaggio stesso.
Anche i look dei danzatori sembrano casuali, coloratissimi e dagli stili più svariati, con abbinamenti improbabili e singolari. Si tratta di singole identità, con diversi vissuti corporei, diverse sensibilità interpretative, diversi universi gestuali, diverse tipologie di movimento: l’intento è preservarle, queste diversità, queste singolarità e scoprire cosa nasce dal loro incontro e dal loro scontro.
I danzatori si muovono lenti dapprima, svelando al pubblico le semplici regole del gioco performativo che stanno per intraprendere: ci sono pochi gesti da riprodurre e vari orientamenti nello spazio, il gioco prende vita dalle infinite possibilità di declinarli, farli interagire, scomporre, rallentare, velocizzare, farli essere; il movimento, e con esso la coreografia, prende vita, tutto diventa sempre più energico e vorticoso, fino a far sembrare i danzatori quasi dervishes turners moderni, a tratti.
I quarantacinque minuti alle Bermudas sono quasi un manuale di composizione coreografica per inesperti; quello che viene fuori è un mondo di infinite possibilità, una sorta di geometria dinamica che trascina e coinvolge fino a lasciare un po’ storditi, come in un loop, come assorbiti da un moto perpetuo, come travolti da una forza entropica.
Lo spettacolo, che si avvale della consulenza matematica di Damiano Folli, sulla musica di Kaytlin Aurelia Smith, Juan Atkins/Moritz Von Oswald, Underworld, con luci di Giulia Broggi e Cosimo Maggini, conferma, se ce fosse bisogno, la capacità autorale di Michele Di Stefano e la sua abilità a spaziare tra generi e linguaggi, conducendo lo spettatore sempre e comunque in un luogo bello e sorprendente.