Il “Paradiso” di Virgilio Sieni: endecasillabi di movimenti

NAPOLI. Io il teatro lo ricordavo come si ricorda un amore lontano, di quelli mai sopiti nel cuore, ma che le vicissitudini del destino rendono spesso difficili. È stato così in questo lungo e complesso periodo in cui dei teatri sembrava non fregare niente a nessuno. Eppure i teatri sono luoghi di cura, luoghi catartici, e starci lontani ci ha ammalati di più. Non ci pensava nessuno, o quasi nessuno, al teatro, esclusi quelli a cui mancava; poi è arrivato il Campania Teatro Festival. Finalmente qualcuno pensava al teatro.

È successo così che ho rimesso piede in questo luogo mistico e terreno al contempo. L’occasione è stata la prima assoluta di Paradiso, il nuovo spettacolo di Virgilio Sieni, andato in scena nella rassegna diretta da Ruggero Cappuccio, il 25 e 26 settembre 2021 al Teatro Politeama di Napoli.

Ci sono entrata come i fedeli entrano in chiesa, a teatro, con quel senso di devozione e rispetto, come con la sensazione di una riconciliazione interiore, perché è evocativo il teatro e chi non lo frequenta, non sa che esiste un livello di vita diverso, ineffabile e meraviglioso. E come sempre capita con i grandi amori, quando li ritrovi, sembra di non averli lasciati mai. Ti senti accolto e pronto ad accogliere e ti riconcili, appunto, con te stesso e col mondo.

Accogliente e bellissimo è apparso ai miei occhi quella sera del 25 settembre il Teatro Politeama: bellissimo e più vivo che mai. Ciò che non uccide fortifica, scriveva Nietzsche nell’Ecce Homo, perché sì, la malattia, lo stato di decadenza, può stimolare a vivere di più, a sentire di più, a volere di più.

Così mi appariva il Teatro Politeama quella sera: rinato a nuova vita, guarito, salvo da chi lo dava per superfluo, da chi miseramente lo dava per superfluo. Ebbene ero seduta lì in platea ed osservavo il sipario che stava per aprirsi su un mondo, un mondo che solo lì poteva nascere ed in cui saremmo stati tutti assieme per i 60 minuti a venire.

Che Virgilio Sieni sia capace con la sua danza di creare mondi e suggestioni è fuor di dubbio e nel caso di Paradiso, di cui ha curato coreografia e regia, quel mondo è stato un giardino. Lo spettacolo trae la genesi dalla sua ispirazione dall’omonima Cantica dantesca, ma, per dichiarazione dello stesso Sieni, non intende tradurla in linguaggio altro, anzi Sieni ritiene la parola dantesca intraducibile.

Quello che intende fare, piuttosto, è provare ad incarnarla, soffermandosi su alcuni dettagli del Paradiso, tentare di liberare il corpo per una sospensione e restituirla, quest’idea di sospensione, tramite il quintetto di danzatori in scena: Jari Boldrini, Nicola Cisternino, Maurizio Giunti, Andrea Palumbo, Giulio Petrucci, tramite l’atmosfera che riescono a creare, fatta di contatto ed esperienza della dimensione tattile.

In scena, oltre i danzatori, le piante: i danzatori si muovono e le piante si muovono, c’è il respiro del movimento e quello delle piante che ne custodiscono la memoria, prende forma e vita la coreografia e prende forma e vita il giardino. Sono anche le piante a costruire la coreografia, a decidere cosa rendere visibile e cosa appena percepibile, cosa lasciare vedere e cosa intravedere, parti di corpi, chiaroscuri, gesti sospesi: la danza sembra esistere in relazione alle piante, in un tenue contatto di foglie, braccia, busti, vasi, gambe.

E così si muovono i danzatori, lasciando quasi ogni gesto sospeso, duttili come non avessero le articolazioni, e con essi le piante, continuamente spostate in una costante ridefinizione dello spazio. Ci catapulta in un giardino fisico il Paradiso, ma anche in uno immaginario, costruisce versi danzanti che procedono per endecasillabi, ci mostra la possibilità di un contatto delicatissimo e diverso, il cui tocco non raggiunge la pelle, ma si relaziona all’aura.

E così ci lascia quando finisce lo spettacolo: come sospesi, a mezz’aria in questa dimensione irreale e impalpabile, anche quando si riaccendono le luci in sala, anche mentre gli applausi divengono fragorosi, anche mentre in scena i danzatori sorridono e si inchinano, quando ci ricordiamo che siamo a teatro e non sospesi in quel giardino etereo.

Ma il teatro è evocativo per questo: ci porta ovunque, facendoci restare dove siamo e non ce lo scrolliamo di dosso così quel viaggio, quel mondo. Ce lo portiamo dietro e dentro, anche quando il sipario si chiude, anche quando dal teatro usciamo e ci ritroviamo per strada, tra i clacson, anche quando rimettiamo la suoneria al cellulare, ci ricordiamo gli impegni e ci ritroviamo catapultati brutalmente nel mondo vero. Si stava meglio dentro. (Foto: Campania Teatro Festival).

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Nicoletta Severino

Nicoletta Severino

Danzatrice e coreografa, dirige la scuola di danza "Attitude" di Napoli. Proviene da studi filosofici e collabora con varie testate, trattando temi di attualità, di arte e di cultura.

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