Il cane nell’antica Pompei: dalla vita con l’uomo alle raffigurazioni negli apparati decorativi
POMPEI. Il cane da sempre vive al fianco dell’uomo e già nell’antica Pompei era così. Nelle case pompeiane, infatti, il cane era piuttosto diffuso e frequentemente raffigurato. I cani da caccia erano scelti in base alle caratteristiche delle prede: i più agili e scattanti erano destinati all’inseguimento di animali molto veloci, come lepri, caprioli e cervi. Gli esemplari più massicci, invece, venivano usati nella caccia al cinghiale.
I cani che guardavano le greggi, i cosiddetti cani-pastore, dovevano possedere il pelo bianco. Il motivo è presto detto: era necessario che di notte i cani potessero distinguersi dai lupi che attaccavano le greggi, incutendo loro timore con la propria presenza.
Esattamente l’opposto accadeva, invece, con i cani da guardia. I cosiddetti “cani alla catena”, di cui si conserva un famosissimo calco, erano scelti tra quelli a pelo nero, perché sono poco visibili di notte e avrebbero potuto così sorprendere meglio un eventuale ladro che avesse tentato di introdursi in casa.
Una distinzione che si rifletteva anche nell’arte pompeiana: nelle raffigurazioni decorative, infatti, i cani alla catena sono di colore nero, mentre quelli raffigurati in scene pastorali sono bianchi.
Pompei ha restituito alcuni esempi negli apparati decorativi degli edifici di cani alla catena (canis catenarius). Il più famoso, realizzato in mosaico, con la nota scritta “Cave Canem” (“Attenti al Cane”) è stato rinvenuto all’ingresso della Casa del Poeta Tragico (VI, 8, 3). Un altro esempio, sempre all’ingresso della dimora ed in forma di mosaico, è nella Casa di Paquio Proculo (I, 7, 1).
Un terzo esempio è invece dipinto su un pilastro del Termopolio I, 12, 3 e si richiama chiaramente al noto passo del Satyricon di Petronio Arbitro che dimostra il frequente uso di queste immagini negli edifici romani.
«Guardavo incuriosito – si legge – quando sobbalzai così improvvisamente che quasi mi spezzavo una gamba. Sulla sinistra, vicino alla guardiola del portiere, era dipinto un grosso cane alla catena, che sembrava vivo, con al di sotto scritto in maiuscolo: “attenti al cane”».
Anche tra gli affreschi del bancone del grande Termopolio recentemente scavato nella Regio V di Pompei, tra gli altri animali raffigurati, compare un grosso cane nero al guinzaglio (nell’immagine di copertina). Probabilmente era un monito alla maniera del famoso “Cave Canem” della Casa del Poeta Tragico, che intendeva segnalare, agli eventuali malintenzionati, la presenza di un “guardiano” a quattro zampe.
Tra l’altro, nel Termopolio della Regio V sono state rinvenute anche le ossa di un cane, ma di piccola taglia: non si tratterebbe, quindi, del grande cane nero raffigurato sul bancone.
Tornando alla raffigurazione dei cani negli apparati decorativi, non si può non menzionare il mosaico della Casa del Cinghiale, realizzato in età imperiale. La domus, aperta su Via dell’Abbondanza e collegata alle due botteghe adiacenti, deve il suo nome proprio all’opera musiva che decora il vestibolo. In questo caso, però, non si tratta di un canis catenarius, quanto piuttosto di una scena di caccia che descrive un cinghiale assalito dai cani.
Rappresentazioni di cani si ritrovano anche nelle sculture dell’epoca: tra queste si può ricordare la statuetta, raffigurante un levriero che azzanna un leprotto, che decorava, insieme ad altre, il bordo di una fontana della domus di Loreio Tiburtino (detta anche di D. Octavius Quartio).
A Pompei, infine, è stato possibile anche realizzare il calco di un cane. Nella Casa di Orfeo (conosciuta anche come Domus di Vesonius Primus, VI, 14, 20) il 20 novembre 1874, durante lo scavo dell’atrio e degli ambienti limitrofi, si riuscì a realizzare il calco di un cane, in quanto i resti vennero rinvenuti nello strato di materiale vulcanico. Lo sventurato animale aveva ancora il collare con il quale era legato ad una catena, che gli impedì la fuga durante l’eruzione vesuviana del 79 d.C.