I gladiatori e i combattimenti nell’Anfiteatro hanno contribuito a rendere Pompei famosa nel mondo
POMPEI. Il mito di Pompei nel mondo è stato senza dubbio alimentato anche dal ruolo che nell’immaginario collettivo hanno assunto i gladiatori, i leggendari combattenti protagonisti delle arene Romane, assurti a simboli di forza e di coraggio.
D’altra parte, la presenza a Pompei dell’Anfiteatro, costruito intorno al 70 a.C. e per questo considerato uno dei più antichi giunti fino ai nostri giorni, è la principale attestazione dello svolgimento di spettacoli gladiatori nell’antica città vesuviana.
A Pompei, inoltre, è legata una delle scoperte più sensazionali che negli anni hanno contribuito a squarciare il velo sulla vita e sull’attività dei gladiatori, nella città vesuviane e non solo.
Nel XVIII secolo, infatti, nel Quadriportico dei Teatri (che dopo il terremoto del 62 d.C. fu adibito da “foyer” del Teatro Grande a Caserma dei gladiatori) furono rinvenute, all’interno di due casse in legno, delle ricche armi usate nelle parate che precedevano i combattimenti e che ora sono conservate al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Si tratta di circa 50 pezzi tra cui elmi, scudi, schinieri, spallacci, cuspidi di lancia, pugnali e spade, per lo più decorati con soggetti ispirati alla mitologia greca. Tra i pezzi, risaltano gli elmi, come quello con gorgoneion (sulla crista del reperto ci sono Marte, grifi ed eroti), con Muse (sulla crista c’è un giovane con siringa e pedum, che erano strumenti musicali), con gladiatori tra amorini armati (sulla crista, figura l’erma di Ercole e scene di baccanali), ma anche con scene della caduta di Troia, con personificazione di Roma, barbari e prigionieri, trofei e vittorie.
Insomma, le armi dei gladiatori ritrovate a Pompei erano quasi delle creazioni artistiche, caratterizzate da un articolato sistema decorativo. A questo proposito, gli studiosi hanno fatto notare che la collezione pompeiana includesse anche esemplari da parata, quindi non necessariamente indossati durante gli scontri. Tra l’altro, alcuni cornua del I secolo d.C. ritrovati sempre a Pompei suggeriscono che le gare dei Gladiatori erano accompagnate anche da momenti musicali.
Una collezione di una tale varietà e ricchezza che, secondo alcuni aneddoti, fu la vera fonte d’ispirazione per il celebre film “Il Gladiatore” diretto da Ridley Scott e interpretato da Russel Crowe.
In effetti ancora oggi la collezione rappresenta la più celebre raccolta di armi di epoca romana giuntaci dall’antichità. Sottoposta, dall’epoca borbonica in poi, a successive campagne di restauro, la raccolta di armi gladiatorie è stata anche ammirata in occasione di importanti esposizioni internazionali, organizzate in Europa e negli Stati Uniti.
Sempre nel contesto della Caserma dei Gladiatori a Pompei furono ritrovati anche alcuni splendidi gioielli d’oro, tra cui spiccano due anelli, così come i braccialetti di lamina ripiegata. Qui, infatti, si rinvennero molte vittime, come 4 scheletri di schiavi posti ancora vicino ai ceppi e, in una stanza, altre 18 persone, tra cui una donna con un ricchissimo corredo di gioielli.
Secondo gli studiosi, gli ornamenti appartenevano ad uno dei tanti fuggiaschi che durante l’eruzione del 79 d.C. si rifugiò nel Quadriportico dei Teatri per salvarsi la vita. È stata superata, ormai, la visione “romanzata” , seppur suggestiva, che ne attribuiva la proprietà ad una donna, ritenuta amante di un gladiatore.
Ad ogni modo, grazie a quei meravigliosi reperti, spesso riccamente decorati, è stato addirittura possibile cogliere le differenze che esistevano all’epoca tra le diverse classi dei gladiatori.
Tra le tipologie più note, vi è il Mirmillone: indossava un elmo pesante, che copriva l’intero volto, attaccava con una lunga spada e si difendeva con un largo scutum ricurvo, mentre le gambe erano protette con un solo schiniere (ocrea), spesso adornato con motivi mitologici.
Osservando i reperti di Pompei, si può quasi ricostruire l’armatura del Mirmillone. C’è lo splendido Elmo con Muse e l’ocrea, entrambi con un ricco apparato decorativo. Sulla calotta dell’elmo, vi è un altorilievo, in cui sono raffigurate, da un lato, Clio (Musa della Storia) e Polimnia (Musa dell’Arte), mentre sono di fronte Urania (Musa dell’Astronomia) ed Euterpe (Musa della Poesia Lirica). Sull’ocrea, invece, ci sono due schiere di amorini: il primo gruppo di tre eroti trasporta un fulmine, un elmo, un’asta ed un caduceo; il secondo terzetto, invece, realizzato in bassorilievo di dimensioni più piccole, caccia un cinghiale con l’aiuto dei cani.
Avversario immancabile del Mirmillone era il Trace, il cui nome conserva ancora la connotazione etnica di una delle popolazioni nemiche di Roma. Questo combattente aveva un elmo che, a prescindere dalla maggiore o minore raffinatezza di esecuzione, era caratterizzato da un cimiero con la riproduzione di grifone; solitamente aveva la tesa dritta e l’apertura per gli occhi con piccole grate.
Diversa la dotazione di armi che accompagnava il Secutor: si opponeva al Retiarius, indossando elmo tondeggiante (due gli esemplari in esposizione) e scudo liscio per non consentire appigli alla rete dell’avversario.
Simile a quella del Secutor è l’armatura del cosiddetto Provocator: portava un elmo liscio con paranuca posteriore, impugnava armi da taglio e si sfidava quasi esclusivamente con la stessa categoria di combattenti. Questa era una classe di gladiatori che aveva lo scopo di scatenare la battaglia, provocando e confondendo i nemici. L’armatura comprendeva anche uno scudo, una protezione al braccio armato e una placca di metallo per proteggere cuore e petto, detta cardiophilax. La sua arma era il gladio.
Il Reziario, infine, era un tipo di gladiatore leggero, in quanto agile e veloce in campo. Avevano scarse protezioni per agevolare i movimenti, solo un parabraccio (manica) e una placca metallica (galerus) per proteggere spalla e gola. Le loro armi invece erano il pugio (un pugnale), il tridente e la rete munita di pesi per avvolgere gli sfidanti, da cui prendono il nome.
Gli spettacoli dei gladiatori prevedevano in genere tre fasi: la parata, durante la quale sfilavano i partecipanti alla giornata di giochi; il combattimento vero e proprio tra i gladiatori; la caccia di animali feroci.
Le venationes rappresentavano il momento di apertura degli spettacoli gladiatori: istituite nel 186 a.C. da Marco Fulvio Nobiliore e restate in voga sino al tramonto dell’Impero (l’ultimo spettacolo di questo genere fu organizzato sotto Teodorico nel 523 d.C.), le cacce nelle arene rivestivano un profondo valore politico, culturale e simbolico.
I venatores, infatti, incarnavano le virtù di tenacia e coraggio e si cimentavano negli scontri con gli animali dopo un duro allenamento: si calcola che circa due milioni e mezzo di fiere, che provenivano da diverse regioni dell’Impero (Africa Settentrionale, Asia Minore, Germania), furono ammazzate in oltre cinque secoli di lotte.
Peculiare la scenografia in cui si svolgevano le venationes: nelle arene erano allestiti veri e propri spettacoli, con fondali ed ambientazioni di matrice storica e mitologica; gli animali feroci, con cui solitamente si cimentavano gli i cacciatori, erano bufali, orsi, leoni ed elefanti.
Il mito dei gladiatori ha avuto una fortuna perenne, dall’antichità sino ai giorni nostri: ma accanto alle figure idealizzate degli eroi, c’era anche la dimensione più “umana” dei protagonisti dei celebri scontri nelle arene Romane.
Ci si potrebbe chiedere, ad esempio, cosa mangiassero questi lottatori dell’antichità. I Gladiatori avevano una dieta molto povera di proteine animali e basata, piuttosto, su cereali e legumi: non a caso, i combattenti furono definiti hordearii, mangiatori di orzo.
Questa tipologia di alimentazione sembrava favorire la formazione di grasso corporeo, che potesse proteggere meglio dai violenti attacchi dei nemici; accanto ai cibi, secondo Galeno (medico in una palestra di gladiatori), si aggiungeva una mistura tonica di cenere ed ossa, per fornire una buona capacità di resistenza nei duelli.
La cura della persona passava, naturalmente, anche attraverso i rimedi per lenire le ferite subite nel corso dei combattimenti e delle venationes. Esisteva infatti la figura del medicus preposto alla cura della salute di ciascun gladiatore, dalla dieta, alle medicazioni con piante e oli, fino anche alle operazioni chirurgiche.
Con il diffondersi dei combattimenti tra gladiatori sorsero i primi anfiteatri. Risale alla fine del II secolo a.C. la realizzazione degli edifici destinati ad accogliere gli spettacoli gladiatori: proprio in Campania, furono innalzate le prime costruzioni stabili per i munera, che invece fino a quel momento si erano svolti nel Foro.
Anche Pompei aveva il suo Anfiteatro, che era adornato da sequenze di affreschi. Le pitture, scoperte tra il 1813 ed il 1815, abbellivano il muro di separazione tra l’arena e le gradinate dell’edificio: le opere non ebbero lunga vita a seguito del loro ritrovamento, perché, dopo un primo danneggiamento da parte di ignoti, crollarono definitivamente nel 1816. [Leggi anche: I I giochi gladiatori nell’Anfiteatro: una vera passione nella Pompei antica]
Si deve a Francesco Morelli, che ne riprodusse i dettagli con le proprie tempere, la successione fedele dei sei pannelli figurati: tra le singole rappresentazioni, vi erano otto sezioni dipinte a squame ed a finto marmo, separate da erme, Vittorie su globo e candelabri metallici su fondo rosso. Suggestiva l’iconografia riproposta nell’antico Anfiteatro: negli affreschi, vi erano la scena di apertura di un munus, le quattro cacce tra animali ed i due gladiatori collocati ai lati dell’ingresso.
Ma il mito dei gladiatori non è stato mai confinato al solo ambito delle arene: già nell’antichità, la fortuna di questi combattenti è stata “tradotta” nell’apparato decorativo (musivo e parietale) e nelle suppellettili presenti nelle case dei romani. Si pensi alle lucerne pompeiane con rappresentazioni di gladiatori o al bronzetto di gladiatore che combatte contro il proprio fallo trasformato in pantera (ritrovato ad Ercolano, I secolo d.C.); suggestive anche le coppe pompeiane con venationes e duelli tra gladiatori (risalenti al I secolo d.C.).