Pompei, nella villa extraurbana di Civita Giuliana rinvenute due vittime dell’eruzione
POMPEI. Civita Giuliana restituisce ancora preziose testimonianze dell’eruzione che colpì i siti vesuviani nel 79 d.C. Dopo i tre cavalli da cui è stato possibile ricavare dei calchi, anche due vittime dell’eruzione trovano una forma grazie al perfezionamento della tecnica calcografica inventata nell’Ottocento dall’allora direttore del sito di Pompei, Giuseppe Fiorelli.
Secondo gli archeologi entrambe le vittime furono sorprese dalla cosiddetta “seconda corrente piroclastica” che nelle prime ore del mattino del 25 ottobre del 79 d.C. investì Pompei e il territorio limitrofo.
Questa seconda corrente, molto potente e distruttiva, fu anche quella che non lasciò speranze di salvezza ai sopravvissuti di Pompei, che uscirono dalle abitazioni nel vano tentativo di salvarsi.
I resti dei due fuggiaschi sono stati individuati in un vano del criptoportico portato in luce qualche mese fa, in un corridoio di passaggio della grande villa suburbana di Civita Giuliana dove già nel 2017, grazie ad un’azione congiunta con i Carabinieri e la Procura di Torre Annunziata, è stato possibile arrestare il traffico illecito di tombaroli.
Gli scavi misero allora in evidenza la parte servile della villa, la stalla con i tre cavalli bardati e ora anche gli scheletri di due individui colti dall’eruzione.
La prima vittima, che dai primi studi risulta essere un giovane individuo di sesso maschile tra i 18 e i 25 anni, ha il capo reclinato e un parziale schiacciamento delle vertebre, inusuale per un’età così giovane.
Indossava una tunica corta, di cui è ben visibile l’impronta del panneggio sulla parte bassa del ventre, con ricche pieghe e la cui consistenza farebbe pensare a fibre di lana, un tessuto pesante già trovato su altre vittime come protezione dall’incessante pioggia piroclastica.
La seconda vittima, invece, è stata trovata in una posizione diversa ma attestata già in altri calchi di Pompei. Il volto è riverso nella cinerite, ad un livello più basso del corpo, le braccia sono piegate con le mani sul petto, mentre le gambe sono divaricate e con le ginocchia piegate.
La robustezza dei resti ossei ha fatto supporre anche qui che si trattasse di un individuo di sesso maschile, più anziano della prima giovane vittima, con un’età compresa tra i 30 e i 40 anni e alto circa 162 centimetri.
Solo la presenza di vuoti nello strato di cinerite indurita ha potuto far sì che venisse utilizzata la tecnica del calco; le operazioni di analisi degli scheletri sono state condotte dall’antropologa del Parco Archeologico di Pompei, Valeria Amoretti, e solo dopo si è potuto procedere alla colatura di gesso, secondo l’antica tecnica del Fiorelli che ha restituito, come allora, questa terribile e unica immagine della morte.
Così anche il secondo calco ha potuto mettere in evidenza un abbigliamento più articolato, con tunica e mantello. Sotto il collo della vittima e in prossimità dello sterno, si è potuto scorgere anche il gioco di pieghe creato dalla stoffa pesante. Vicino ai resti del cranio delle vittime, frammenti di intonaco bianco probabilmente crollati dal piano superiore.
«Questa scoperta straordinaria dimostra che Pompei è importante nel mondo non soltanto per il grandissimo numero di turisti – dichiara il ministro per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo, Dario Franceschini – ma perché è un luogo incredibile di ricerca, di studio, di formazione. Sono ancora più di venti gli ettari da scavare, un grande lavoro per gli archeologici di oggi e del futuro».
«Uno scavo molto importante quello di Civita Giuliana – dichiara il direttore del Parco Archeologico di Pompei, Massimo Osanna – perché condotto insieme alla Procura di Torre Annunziata per scongiurare gli scavi clandestini e che restituisce scoperte toccanti. Queste due vittime cercavano forse rifugio nel criptoportico, dove invece vengono travolte dalla corrente piroclastica alle 9 di mattina. Una morte per shock termico, come dimostrano anche gli arti, i piedi, le mani contratti. Una morte che per noi oggi è una fonte di conoscenza incredibile».
Foto: Luigi Spina. Fonte: Parco Archeologico di Pompei/Mibact