Quando anche la Pompei moderna ebbe il suo “vespasiano”
POMPEI. Vi siete mai chiesti perché ancora oggi i bagni pubblici sono detti “Vespasiani”? Il riferimento è all’imperatore Vespasiano (nella moneta in foto), imperatore romano che governò tra il 69 e il 79 d.C. e che diventò famoso perché introdusse la tassa sull’urina.
Ai tempi l’imperatore (come d’altronde il nostro governo attuale) era in cerca di denaro, ma Roma era già molto tassata e non si sapeva più da dove ricavare altri soldi.
Roma, e anche Pompei, erano piene di bagni pubblici poiché allora nessuno aveva il bagno in casa e l’urina in quel periodo era molto utile per le cosiddette “officine fullonicae” ossia le lavanderie.
Nell’antica Pompei la più famosa era la fullonica di Stephanus. Questo edificio era un’antica lavanderia portata alla luce dagli archeologi nel 1911 e tuttora molto ben conservata: è l’unica delle quattro fulloniche di Pompei rimessa quasi completamente a nuovo.
La pipì era infatti molto utile per sbiancare e ripulire i tessuti poiché contiene ammoniaca. Proprio per questo l’imperatore pensò di tassare i lavoratori delle lavanderie che mandavano appositamente i propri collaboratori nei bagni pubblici per prelevarla.
Diciamo che fu una vera e propria “furbata”, che consentì allo scaltro imperatore Vespasiano di far quadrare i conti del proprio bilancio.
In seguito, il figlio di Vespasiano, Tito, ebbe a criticare il padre perché a suo dire la tassa sull’urina era poco elegante per una città come Roma e i romani consideravano ridicola la tassa al punto di deriderla. Un giorno però Tito chiese dei soldi a suo padre e l’imperatore lo accontentò.
Ma nel dargli il sacchetto pieno di monete gli disse: «Vedi, Tito, quanti soldi? Ma c’è un problema: vengono tutti dall’urina!».
Tito non sapeva bene se accettare o no. Vespasiano allora mise il naso nel sacchetto e disse: «Pecunia non olet» (ovvero: il denaro non ha odore). Questa frase è diventata famosissima e si usa ancora oggi.
Bene, anche l’allora novello Comune di Pompei, nato nel 1928, ebbe il suo bagno pubblico o Vespasiano: nella foto, datata anni ’30, indicata dalla freccia si vede la struttura chiusa composta da un separé ornamentale con relativa pensilina ubicata a lato del Palazzo comunale, che non raccoglieva le urine (a differenza dell’antica Pompei) ma consentiva ai passanti che si trovavano lontano dalle proprie case di espletare le proprie necessità fisiologiche.
Col passar del tempo l’uso delle strutture divenne sempre più diffuso. Famoso fu anche il vespasiano del film “Totò truffa ‘62” di Camillo Mastrocinque, in cui il mitico Principe Antonio De Curtis insieme a Nino Taranto, inscenano la truffa del vespasiano davanti a un ristorante, spacciandosi per addetti del Comune.
Il loro intento era quello di farsi pagare una tangente dal proprietario del ristorante per non piazzare il vespasiano proprio nei pressi del locale.
Oggi se ne vedono sempre meno di queste strutture, il motivo fondamentale è il fatto che le nostre città, con l’avvento del progresso, sono piene di attività e soprattutto di centri commerciali dove è possibile usufruire dei servizi igienici.