La storica rissa tra Pompeiani e Nocerini e l’intervento di un illustre personaggio dell’epoca
POMPEI. Prima dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., che ebbe un’eco enorme anche nel mondo antico, un altro fatto fece sì che la città vesuviana facesse sentire la propria presenza nella storia romana. Siamo nel 59 d.C.: in quell’anno accadde che alcune gare tra gladiatori sfociarono in una violenta rissa tra gli abitanti delle due fazioni avverse, ovvero i Pompeiani e i Nocerini.
Feriti e familiari portarono le loro rimostranze addirittura davanti all’imperatore Nerone. Tacito racconta questa vicenda nei suoi Annales (Ann., XIV, 17) e un’immagine memorabile dell’evento appare su un affresco oggi conservato presso il Museo Archeologico di Napoli (nella foto di copertina).
Durante uno spettacolo di gladiatori, organizzato dal noto imprenditore Livineio Regolo su iniziativa del senato locale, scoppiò questa impressionante rissa.
Scrive Tacito: “Come capita spesso nelle piccole città, gli spettatori si derisero a vicenda scagliandosi insulti e volgarità; poi passarono alle pietre e infine alle armi. I tifosi di Pompei, più numerosi dato che lo spettacolo si teneva in casa loro, ebbero la meglio. Molti tifosi di Nocera furono riportati a casa pieni di ferite e molti piansero la morte di un figlio o genitore”.
La rissa, però, sembra avere motivazioni diverse da quelle narrate da Tacito. Sembrerebbe infatti che lo scontro sia scoppiato per un malcontento dei pompeiani per la deduzione della colonia di Nocera da parte di Nerone e per la conseguente distribuzione dei territori della città di Stabia alla nuova città su cui Pompei sperava da tempo.
A fomentare gli animi, quindi, fu Livineio Regolo che attraverso questi giochi intendeva portare la questione a Roma. La sola cosa che avvenne fu, però, la squalifica dell’Anfiteatro per ben 10 anni e l’esilio di coloro che avevano capeggiato i rivoltosi.
Gli scavi nella zona di San Paolino hanno portato alla luce altre interessanti informazioni sull’accaduto e su un famoso imprenditore di giochi gladiatori molto attivo e famoso, non solo a Pompei. Clamoroso è stato il ritrovamento del suo monumento funerario e di una lunga iscrizione dedicatoria di oltre 4 metri, la più lunga epigrafe portata alla luce sino ad ora in città.
I sette registri narrativi, pur non recando il nome del defunto, ne scandiscono con estrema precisione però le tappe fondamentali della sua vita privata e pubblica che vanno dall’acquisizione della toga virile alle nozze e fino alla descrizione delle attività munifiche che hanno accompagnato tali eventi: banchetti pubblici, organizzazione dei ludi gladiatoria e combattimenti contro le belve feroci.
Questo famoso personaggio racconta sostanzialmente quello che ha fatto durante la sua vita e ci troviamo davanti ad un elogio del defunto unico, perché a Pompei, fino ad ora, non è mai stato ritrovato nulla del genere.
Sappiamo infatti che era solito elargire grandi banchetti sontuosi, addirittura allestendo 456 triclini e, non pago di tutto questo sfarzo, organizzò anche uno spettacolo con 416 gladiatori.
Un dato assolutamente eccezionale, se consideriamo che dalle iscrizioni rinvenute a Pompei a combattere non erano mai più di 30 coppie di gladiatori. Qui, invece, siamo di fronte ad uno spettacolo gigantesco, paragonabile solo ai grandi ludi romani.
Eventi personali, quindi, ma celebrati con grandi atti di munificenza, per acquisire prestigio e per promuovere la carriera politica. Non è un caso, infatti, che l’illustre pompeiano, come riporta l’iscrizione, ricoprì la carica di duoviro.
Grazie alla citazione di eventi topici della vita del defunto, apprendiamo anche notizie inedite ed interessanti sulla rissa tra Pompeiani e Nocerini. Tacito, da quanto si apprende dall’iscrizione, non racconta interamente i fatti e proprio la lunga epigrafe funeraria ci svela invece dettagli fino ad ora sconosciuti.
Sappiamo che l’evento richiamò l’intervento dell’imperatore Nerone, il quale da Roma incaricò il senato di far luce sui fatti e, oltre alla squalifica dell’anfiteatro per 10 anni, allo scioglimento delle associazioni illegali, portò all’arresto ed esilio dell’ex senatore di Roma Livineio Regolo e di quanti avevano istigato il fatto.
Fin qui il passo di Tacito, che tuttavia non è esplicito su altri importanti esili: quello dei due duoviri della città, i Pompei padre e figlio, che grazie all’iscrizione, sappiamo esser stati riportati a casa dal nostro illustre personaggio e che lui fa esplicitamente sapere alla città.
Inoltre fu così amato dai suoi concittadini che questi vollero attribuirgli il nominativo di Patronus che lui rifiutò, come si fa in questi casi, perché troppo impegnativo e lui non ne era degno. Altri lo chiamarono addirittura Princeps Coloniae, titolo altrettanto interessante, perché lo annovera al top della cittadinanza.
Chi è allora questo personaggio così amato e ben voluto? Quasi certamente il nome dell’illustre uomo di Pompei è Gneo Alleo Nigidio Maio, uno dei più grossi finanziatori di spettacoli con gladiatori che si svolgevano all’interno del più antico anfiteatro a noi pervenuto, ma anche figlio di schiavo, poi liberato, che grazie alla ricchezza accumulata ci illumina sui complessi rapporti di mobilità sociale della Pompei degli ultimi decenni prima del 79 d.C.
Sappiamo che Gneo Alleo fu anche un potente imprenditore edile: a lui apparteneva l’insula Arriana Polliana, l’insula dove è situata la Casa di Pansa, di cui mette in affitto “tabernae cum pergulis suis et caenacula equestria et domus“, come riporta un’altra epigrafe dipinta davanti alla Casa di Pansa nella Regio VI.
Quest’iscrizione deve essere massimo del 78 d.C., perché diceva: “Si fitta da luglio”, intendendo il luglio precedente alla data dell’eruzione. Gneo Alleo Nigidio Maio morì nel 78 d.C., fortunatamente non assistendo alla catastrofe che si abbatté sulla sua città.