Vino e Vesuvio, il binomio prediletto dell’azienda vinicola Sorrentino
Il territorio aziendale è parte del “Pagus Felix Suburbanus”, campagna fuori le mura dell’antica Pompei
BOSCOTRECASE. Sul versante vesuviano di Boscotrecase c’è un lembo di paradiso che per raccontarlo si ricorre alle leggende popolari. Vi trionfa la vigna in simbiosi con l’orto, tipico del cultivar a sud ovest del Vesuvio, dalla quota di 250 fino ai 600 metri sul livello del mare, mentre schiere di olivi e alberi da frutta formano una trincea naturale che respira la brezza che sale verso il cielo. Il successo delle più rinomate etichette del vino, pezzo di storia della sua filiera agroalimentare, è nella perseveranza della famiglia Sorrentino nel migliorarne la qualità, emblema del “paesaggio cartolina” a fronte di terrazzamenti di viti secolari che respirano mare vulcanico.
Turisti di tutto il mondo arrivano ogni giorno attratti dal magico binomio Pompei-Vesuvio e subito dopo vengono “conquistati” dalla degustazione dei vini Sorrentino Vesuvio, abbinati alle specialità della tradizione napoletana della cucina, con alimenti biologici a chilometro zero, di mamma Angela. L’azienda Sorrentino Vesuvio, nel cuore dell’omonimo Parco Nazionale, con vista privilegiata sul Golfo di Napoli, respira brezza marina “imbalsamata” dal profumo delle pinete e degli alberi da frutta, insieme alle ginestre e alle orchidee che spuntano dalla lava.
Il territorio aziendale è parte del “Pagus Felix Suburbanus”, campagna fuori le mura dell’antica Pompei, dove i ricchi e i potenti si ritiravano con le famiglie nell’otium delle ville agricole, in cui si produceva vino rinomato in tutto il mondo antico. Anfore vinarie dressel incise “Pompeii” trionfano negli scaffali dei musei archeologici d’Egitto, Marocco e Medio Oriente, ricordando un antico primato che si rinnova nel tempo.
Siamo stati accolti, nella nostra visita all’azienda Sorrentino Vesuvio di Boscotrecase, dal sorriso solare di Maria Paola Sorrentino, figlia del patron Paolo e presidente del Movimento del Turismo del vino campano, che ci ha condotti per prima cosa ad ammirare il panorama e immediatamente dopo ad ascoltare i “palpiti” del “cuore della vigna”, scrigno della storia di famiglia, tracciando con le sue parole un filo rosso tra i sacrifici, gli ambiti premi, i progetti e le speranze per il futuro.
Suo padre Paolo (direttore di banca in pensione) quella mattina era intento a preparare la marmellata di limoni; sua moglie, Angela, sovrintendeva alla cucina per gli ospiti in degustazione. La figlia Benny operava in cantina e il fratello maggiore Giuseppe nell’amministrazione della ditta. La visita è capitata in una mattinata radiosa di sole e d’aria asciutta e profumata, che il Padreterno ci ha regalato dentro un mese di maggio da dimenticare.
Il “quadretto” disegnato fa emergere i Sorrentino come famiglia-azienda, dal format moderno e nello stesso tempo ancorata alla tradizione contadina, con un circuito affettivo che si esalta nel sapore del vino. Paolo Sorrentino è imprenditore lungimirante che insieme alla moglie Angela ha fatto crescere l’azienda fino alle considerevoli dimensioni attuali, aggiungendo appezzamenti al moggio originario, in anni in cui erano in crisi d’abbandono.
Ci ha confidato: «Posso anche accettare che non sia gradito il sapore di una nostra bottiglia di vino, ma nessuno potrà mai dirmi che non è stata prodotta come si deve». Degno figlio di nonna Benigna: «’A terraadda mangia’comme ‘e figlinuostri». Colonne di sapienza contadina targate “Sorrentino Vesuvio”, a sud ovest del vulcano attivo napoletano, che da secoli alimenta timore e gratitudine nella gente.
La leggenda “ortodossa” del Lacryma Christi che racconta del furto diabolico di un lembo del Paradiso è suffragata da quella “eretica”, meno diffusa, in cui si narra che il Figlio del Padreterno pianse una “lacrima di-vino” per la delusione di non aver bevuto durante l’ultima cena il “nettare” vesuviano di Pompei. La tipicità che alimenta il mito della vigna vesuviana è tutta nel piede franco, tutelato dal suolo vulcanico, arricchito dai minerali delle colate laviche eruttive, dirette al mare, che lo hanno reso non solo fertilissimo ma anche drenante e immune da attacchi patogeni.
Le viti a piede franco danno chicchi “autentici” che regalano vini di qualità esclusiva. Altro vanto della Sorrentino Vesuvio deriva dalla conduzione biologica dei vigneti nel rispetto degli equilibri naturali, sostenendo la microflora spontanea contro le specie antagoniste e introducendo il favino unito alla pratica del sovescio per rinforzare il germogliamento delle viti. Le varietà autoctone coltivate nei 40 ettari della ditta Sorrentino Vino, vale a dire: Caprettone, Falanghina, Catalanesca, Piedirosso e Aglianico sono allevate con criteri studiati appositamente per agevolarne il lavoro di cantina, perché la qualità del vino nasce con l’uva e si perfeziona nell’affinamento.
Il patrimonio dei vitigni autoctoni a piede franco di nonna Benigna, insieme alla varietà di frutta e ortaggi costituisce il tesoro aziendale che la famiglia Sorrentino valorizza ed incrementa con iniziative moderne che già s’intravedono nel potenziamento dell’ospitalità turistica. Attualmente la Sorrentino Vesuvio produce circa 230mila bottiglie distribuite su 3 linee di produzione e 29 etichette di vino, tratto da 40 ettari di vigne coltivate, a secondo la tipologia, col metodo guyot o col tendone, sempre curate con lavoro manuale, sia nella potatura che nella vendemmia.
Produce anche olio extra vergine di oliva, conserve di pomodorino del piennolo e confetture di frutta di varia natura. Lavorano nell’azienda 6 operai distribuiti tra vigne, orto e oliveto, oltre a 14 collaboratori divisi tra staff di cucina e brigata d’accoglienza in pranzi, eventi e degustazioni. Sono collaboratori originari del territorio che operano come persone di famiglia nella produzione del vino, la tutela dell’ambiente e la ricettività turistica.
Nel corso della nostra visita abbiamo in primis degustato il neonato Benita 31, Vesuvio Caprettone, 12,50% della linea classica, regina campana al recente Vinitaly. Seguita da Do’Re’ Lacryma Christi del Vesuvio bianco spumante doc, Do’Re’Vesuvio Piedirosso spumante rosato e Modda’ Gragnano della Penisola sorrentina doc, della linea Bollicine.
Successivamente abbiamo degustato “Vigna Lapillo” Lacryma Christi del Vesuvio bianco doc superiore, “Catalò”, “Frupa” Vesuvio Piedirosso Superiore (che ci ha intensamente emozionato). È un Piedirosso (100% affinato 12 mesi in tonneaux, che presenta una nota di pino marittimo insieme a gusto di frutti di bosco e malvarosa). In esso l’alcolicità equilibrata si stempera nella persistenza al palato del sapore di frutta rossa. Si è concluso in bellezza stappando una bottiglia di “Don Paolo”, un aglianico superiore.
I tre ultimi vini sono l’eccellenza della linea CrùProdivi. I vini dell’azienda Sorrentino nascono in equilibrio tra antiche radici e moderne sperimentazioni, esaltate dal successo recente del caprettone autoctono, nell’etichetta Benita 31, fresco di ginestra del Vesuvio e dall’Aglianico pompeiano, Don Paolo, raro esempio di vino strutturato che mantiene l’equilibrio alcool-tannino. Aglianico in purezza affinato per 24 mesi in tonneaux. Vino complesso con note di confetture di albicocche, retrogusto speziato che si scioglie in bocca, lasciando al palato una persistente nota amara.