A febbraio nell’antica Pompei si celebravano i Fornacalia: una festa dedicata ai forni panificatori
POMPEI. Dal 7 al 17 febbraio l’antica città di Pompei diventava palcoscenico dei Fornacalia, la festa popolare che veniva organizzata dalla più potente e politicizzata corporazione artigianale di Pompei e cioè quella dei panettieri.
La categoria fiorì in corrispondenza dell’evoluzione della tecnica di produzione del pane, che divenne un prodotto artigianale di prima necessità, considerato che l’antico commercio del cibo ha avuto la priorità rispetto agli altri commerci. Non a caso, all’epoca della sua distruzione, Pompei aveva tantissimi forni.
Alla Dea Vesta, custode del buon funzionamento del forno, era offerta la “mola salsa”, fatta con chicchi di farro abbrustolito e pestati in un mortaio. Nelle sacre icone Vesta riceveva le offerte accompagnata dall’asino, il suo animale sacro. Lo stesso che fu messo alle macine al posto degli schiavi.
All’epoca dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. 9 forni erano ancora interni alle domus a dimostrazione che non era ancora completo il processo di industrializzazione del settore. Spesso nelle domus i forni stavano nei sotterranei come nella casa del Menandro, nella Casa del Criptoportico, nella Casa di Giuseppe II e nella Casa del Centenario.
I panifici attivi erano provvisti di almeno una macina per fare la farina. Quelli che ne erano sprovvisti partecipavano alla catena produttiva a partire dallo stadio successivo alla macinazione del grano. Tra gli alimenti dell’antica Pompei il pane è quello più documentato.
La conoscenza scientifica della sua produzione deriva delle analisi, nel corso degli scavi archeologici, delle pagnotte carbonizzate. Le prime pagnotte erano a base di legumi. Il cereale originariamente utilizzato nella produzione del pane era il farro, da cui discende il termine “farina”, intesa come prodotto della macinazione dei cereali.
Esistevano numerosi tipi e formati di pane, a seconda dei loro differenti usi, impasti e metodi di cottura. Man mano che le tecniche di macinatura e setacciatura della farina e la preparazione e cottura del pane diventarono più complessi la sua produzione lasciò l’ambito familiare per diventare un lucroso mestiere, dal momento che del pane nessuno poteva fare a meno.
Dagli affreschi parietali di Pompei si hanno notizie sui commerci del pane come quello che mostra un tipico momento di vita cittadina. Vi si vede un fornaio impegnato a vendere pane ai clienti.
Nel corso del II secolo a.C. il lavoro dei fornai sostituì la produzione interna alle domus. Nel I secolo a.C. a Pompei si potevano contare decine di forni perfettamente attivi, costituiti da grandi macine in pietra lavica, azionate da schiavi o asini.
Il banco di vendita non era una costante dei panifici dell’epoca, che spesso ricorrevano agli ambulanti. Il pane era venduto in pagnotte tonde, già divise in spicchi per facilitarne il taglio e portavano in superficie il marchio del produttore.
Il termine “pistores”, utilizzato per i servi adibiti alla triturazione del farro, fu utilizzato successivamente come appellativo dei fornai. All’inizio si fecero panettieri i liberti e i pompeiani di basso ceto ma essi si arricchirono e crearono una potente corporazione (“collegium pistorum”) che ottenne privilegi e immunità.
Le scritte elettorali sulle mura di Pompei dimostrano che i panettieri influenzavano i pompeiani riguardo al voto mentre il pane, considerato un bene di lusso, era un gradito dono per i clientes ed utilizzato con profitto nel voto di scambio che ebbe inizio a Pompei già nei i tempi antichi ma che prosegue ai nostri giorni indisturbatamente.