La Rosa Antica di Pompei ritorna “in vita”

Lo straordinario risultato è stato possibile grazie ad una ricerca scientifica condotta da università, istituzioni e privati

POMPEI. La rosa antica di Pompei, rossa e profumata, protagonista della vita quotidiana nell’antica città romana e resa famosa nel mondo dagli affreschi pompeiani, è tornata a vivere. Lo straordinario risultato è stato possibile grazie ad una ricerca scientifica sulla presenza e sull’utilizzo di questo pregiato fiore nell’antica Pompei e nell’area vesuviana, svolta a cura del Laboratorio di Ricerche Applicate del Parco Archeologico di Pompei e del Dipartimento di Agraria dell’Università “Federico II” di Napoli, in collaborazione con l’associazione “La Rosa antica di Pompei”.

L’idea di fondo è stata quella di proporre una nuova modalità di valorizzazione del patrimonio culturale del territorio, che sia capace di raccontare la storia delle piante assieme alle più note storie di archeologie e monumenti. La ricerca si è rivelata un vero excursus nella storia della rosa e ne ha analizzato anche l’origine e la presenza a Pompei nelle sue più svariate forme: dalle raffigurazioni nella pittura pompeiana, laddove le pareti dipinte con piante e fiori arricchivano e abbellivano ancor più gli ambienti e ne dilatavano illusoriamente gli spazi, ai suoi aspetti mitici.

Come simbolo di seduzione e di grazia, per la sua bellezza e il suo aroma, infatti, la rosa era associata alla dea Afrodite. Il suo uso come pianta ornamentale o nell’alimentazione, per la salute ed il benessere, o ancora in cosmesi, è testimoniato anche dal ritrovamento di numerose ampolline contenenti profumi (lekythoi) e dalle svariate botteghe di produzione di profumi di Pompei. La rosa che noi oggi chiamiamo “di Pompei” fioriva due volte l’anno ed era rossa. I ricercatori come sono giunti all’individuazione proprio di quella rosa, osservata negli affreschi o descritta nei testi classici, e come l’hanno riportata “in vita”?

Per semplificare, potremmo dire che è avvenuto un po’ quello che è raccontato nel celebre film di fantascienza “Jurassic Park”, in cui gli scienziati, partendo da una traccia di Dna, riportavano in vita i dinosauri. Per fortuna, però, le rose – spine a parte, volendo esagerare – non sono pericolose come i rettili preistorici e questo esperimento di genetica ed archeobotanica ci ha restituito un fiore bellissimo e carico di tutta la magia di Pompei. Ciò è stato possibile, come detto, grazie alle moderne tecniche di genetica molecolare, associata alle potenzialità  dell’ibridazione sessuale, che hanno permesso di costruire in vitro, con l’aiuto della scienza, una rosa rossa riconducibile a quella dell’antica Pompei.

Con il proposito di scoprire la natura della rosa pompeiana, il Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” ha condotto analisi genetiche e di comparazione genomica tra le varietà e le specie oggi coltivate e quelle conservate nelle collezioni private di rose antiche campane, nei cimiteri monumentali campani e negli erbari storici italiani. A questo lavoro si è affiancato un importante studio di archeobotanica finalizzato a studiare reperti vegetali provenienti dai siti archeologici campani. Questi studi sono stati finanziati dalla società “Villa Silvana”, che si è anche fatta carico dell’allevamento delle giovani piantine di popolazioni segreganti, contribuendo alla loro selezione.

“Villa Silvana”, inoltre, tramite la sua associazione “La rosa antica di Pompei”, su autorizzazione del Parco Archeologico di Pompei, coltiva attualmente le rose in alcuni giardini delle domus pompeiane, come la Casa del Fauno, la Casa di Loreio Tiburtino e la cosiddetta Casa del Profumiere. Per quanto riguarda la parte genetica della ricerca, diretta dal prof. Luigi Frusciante, dell’istituto di Genetica Agraria dell’Università “Federico II” di Napoli, le attività hanno riguardato la raccolta del germoplasma (sia semi che talee) di rose antiche esistenti nell’area vesuviana, ibridi intra e interspecifici, genotipi selvatici, ecc. Tale materiale ha rappresentato la generazione parentale con cui è iniziato il programma di miglioramento genetico finalizzato alla costituzione di una rosa “riconducibile” a quella più diffusa a Pompei e in Campania in epoca romana.

Sia i parentali sia le progenie segreganti sono state valutate per caratteristiche morfologiche in relazione a: portamento della pianta, struttura fiorale, colore del fiore e profumo. Le progenie selezionate e i relativi parentali sono stati poi sottoposti ad analisi molecolari, allo scopo di individuare caratteristiche identificative e fornire quindi una “impronta molecolare” dei genotipi selezionati. Alcuni dei genotipi selezionati, e quindi più prossimi al tipo ideale della rosa pompeiana, sono stati avviati a micropropagazione per la produzione di piante in vitro nel laboratorio appositamente allestito a Boscoreale, presso Villa Silvana, prima di essere distribuiti per la coltivazione in campo.

Per quanto riguarda la parte botanica e archeobotanica della ricerca, le attività hanno richiesto una prima fase di campo dedicata alla ricognizione di rose antiche in parchi, giardini, luoghi sacri e presso collezioni private, sia in Campania sia fuori regione, in modo da identificare e selezionare una serie di individui su cui effettuare la raccolta del germoplasma. Un’altra fase ha consentito di approfondire le indagini volte a definire le caratteristiche delle rose coltivate in Campania in epoca romana, sia sulla base delle descrizioni dei testi classici che a partire dalle numerose rappresentazioni pittoriche presenti in area pompeiana.

L’ultima fase, infine, ha verificato la presenza di materiale botanico proveniente da contesti archeologici su cui sperimentare analisi di Dna antico, per ottener dati fondamentali alla ricostruzione della “rosa di Pompei”. D’altra parte l’area archeologica vesuviana è nota in tutto il mondo per la ricchezza e lo stato di conservazione dei contesti sepolti dall’eruzione vesuviana del 79 d.C. Durante gli scavi che hanno interessato questa area è andato via via strutturandosi un insieme di documenti molto particolare, che oggi costituisce un patrimonio culturale unico e assolutamente straordinario, ancora per gran parte sconosciuto, e non solo al grande pubblico, che racconta della grande cultura agronomica che era alla base della ricchezza e della fama della Campania antica; semi, frutti e altri reperti vegetali, e poi ancora rappresentazioni iconografiche emerse nel corso delle esplorazioni archeologiche sin da quando queste ebbero inizio.

Questi documenti raccontano la ricchezza e la cultura della Campania antica, un territorio che non aveva probabilmente eguali nel mondo di duemila anni fa. Per chi si occupa di storia delle piante i materiali in questione costituiscono una documentazione unica, che permette di scrivere o ri-scrivere, interi capitoli di una cultura della terra straordinaria. Reperto archeobotanico e pianta dipinta sono capitoli di un’unica storia, che testimonia del lunghissimo rapporto tra comunità umane e mondo vegetale. E la rosa è uno dei capitoli più affascinanti, tra queste storie. Curiosamente questa documentazione botanica è stata fino ad oggi sostanzialmente considerata quasi esclusivamente dal punto di vista estetico.

Marco Pirollo

Marco Pirollo

Giornalista, nel 2010 fonda e tuttora dirige Made in Pompei, rivista di cronaca locale e promozione territoriale.

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