Il progetto “Rosa antica di Pompei: profumi, confetture e altre storie” presentato al Mann
Il territorio che andava da Capua a Paestum nell’antichità era uno dei maggiori produttori di rose nel Mediterraneo
NAPOLI. Il progetto “Rosa antica di Pompei: profumi, confetture e altre storie” è stato tra i temi centrali del convegno “Archeologia del cibo, gastronomia e marketing territoriale: dalla ricerca al prodotto”, tenutosi nell’ambito della grande mostra “Res Rustica, archeologia, botanica e cibo nel 79 d.C.” promossa dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli (Mann) e visitabile al terzo piano dello stesso fino al 18 febbraio 2019.
Così come l’esposizione intende dare visibilità a tutti quei reperti organici (soprattutto cibi e piante, ma anche semi) rinvenuti carbonizzati nel corso della storia ultracentenaria degli scavi archeologici a Pompei ed Ercolano, allo stesso modo il convegno organizzato dal Mann e dal Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, e moderato dall’archeologa Laura Del Verme, ha voluto mettere in evidenza l’importanza di progetti sperimentali di studio partiti da ricerche e dati archeologici su cibo e altri reperti organici.
L’incontro di studio si è aperto con i saluti istituzionali di Paolo Giulierini, direttore del Mann, e ha fatto luce su progetti di studio provenienti da tutta Italia che, come è stato dimostrato nel corso del dibattito, possono diventare la base filologica per ricreare prodotti alimentari di alto pregio simili a quelli di duemila anni fa e, quindi, fondamentali strumenti di valorizzazione e marketing territoriale.
Uno dei progetti presentati al convegno (foto di copertina) riguarda strettamente Pompei e il suo territorio: si tratta della “Rosa antica di Pompei: profumi, confetture e altre storie”, un progetto promosso dall’associazione Rosa Antica di Pompei in collaborazione con il Parco Archeologico di Pompei e il Dipartimento di Agraria dell’Università “Federico II” di Napoli. Il primo intervento a riguardo è stato del prof. Gaetano Di Pasquale (Università Federico II di Napoli – Dipartimento di Agraria), che ha compiuto un breve excursus storico sulla rosa nell’antichità focalizzandosi, in particolare, sulla Campania e su Pompei.
Nel suo intervento, infatti, ha evidenziato che proprio il territorio che andava da Capua a Paestum era uno dei maggiori produttori di rose nel Mediterraneo. E se oggi abbiamo oltre 20mila varietà di rose all’epoca ce n’erano soltanto tra le 250 e le 300, tra quelle coltivate (quindi selezionate) e quelle selvatiche. Nel corso degli studi sui testi antichi e sui dipinti parietali pompeiani è apparso subito chiaro che il tipo di rosa più diffusa era di colore rosso, aveva molti petali, possedeva un profumo intenso e, cosa particolare, rifioriva due volte all’anno. Si tratta di caratteristiche non presenti in principio nelle rose europee, ma soltanto in quelle originarie dell’estremo oriente, in particolare della Cina.
Siccome si è sempre ritenuto che i primi incroci tra queste due varietà di rose avvennero soltanto intorno al 1800, grazie ai viaggi degli esploratori inglesi e olandesi, allora è lecito supporre che invece le rose cinesi arrivarono in Campania già in epoca romana? Una tesi suggestiva, ma complicata da dimostrare al momento. Da questa storia, però, è nato il progetto sperimentale che ha voluto “riportare in vita” quella che era la “rosa di Pompei”.
Al riguardo è intervenuto l’ing. Michele Fiorenza, presidente dell’associazione “La Rosa Antica di Pompei” il quale ha spiegato che il progetto è partito con la doppia finalità di far rivivere qualcosa del passato di Pompei, come la rosa, appunto, che non sia scomparso insieme all’antica città dopo l’eruzione, ma anche di poterne godere con gli occhi e con tutti i sensi. E cosa poteva trovarsi al centro dello studio sperimentale se non la rosa, con il suo aroma e il suo profumo?