Nuove indagini nel Fondo Iozzino per svelare gli ultimi misteri irrisolti del Santuario extraurbano
POMPEI. Nuove indagini scientifiche universitarie stanno cercando di dare risposte ai pochi segreti rimasti irrisolti sull’antico santuario edificato in un’area extra urbana dell’antica Pompei (attualmente corrispondente all’ex fondo Iozzino, situato nel cuore della città moderna, fuori dal perimetro del Parco Archeologico) dopo che è stata chiarita la funzione del luogo di culto e soprattutto la presenza di una componente nobile di origine etrusca tra le popolazioni osche che hanno fatto nascere la Pompei romana.
Tutto comincia nel 1960, quando nel suburbio meridionale dell’antica di Pompei furono portati alla luce due recinti paralleli (temenos) con basamenti per statue. L’analisi delle strutture edili e dei reperti rinvenuti, tra cui tre statue di grandi dimensioni di divinità femminili in terracotta, consentirono l’identificazione di un antico santuario extraurbano costruito, come era nell’uso dell’epoca, in prossimità degli snodi di importanti vie di collegamento.
Le indagini successive (le ultime nel 2014 e nel 2017, per approfondire leggi l’articolo qui) hanno restituito monete in bronzo, frammenti di lance, giavellotti, frecce in ferro, ceramica a vernice nera, sovra-dipinta, miniaturistica e moltissimo bucchero, che consente di datare al VI secolo a.C. la piena frequentazione del Santuario, fino alla fine del II secolo a.C.
I graffiti sui vasi in bucchero raccontano che nel Santuario era venerato Apa (Padre), riconducibile al culto ctonio di origine etrusca (tipo quello di Zeus). Le indagini universitarie partite quest’anno hanno per obiettivo la conclusione delle ricerche all’interno del recinto sacro, al fine di predisporre il quadro completo dell’area che si situa in bassa collina (m 20 s.l.m.) in prossimità dell’originaria foce del Sarno, nel suburbio meridionale dell’antica Pompei.
La indagini stratigrafiche più interessanti, invece, riguardano l’interno del recinto minore, in cui uno strato compatto di riporto (alto circa 40 centimetri) è formato da materiale votivo posto al di sotto delle fondazioni delle strutture in opera incerta, indicandone l’anteriorità. Il deposito stesso risulta sigillato da una pavimentazione in ciottoli e malta.
Nel deposito era conservata prevalentemente ceramica a vernice nera (coppette e piatti le forme più attestate), inquadrabile tra la fine del IV e il III secolo a.C.; e ancora: ceramica acroma; ceramica a figure rosse italiota di fine IV secolo a.C.; ceramica miniaturistica, rinvenuta in grandissima quantità (coppette in ceramica comune grezza e calici acromi in prevalenza); bucchero di fabbrica campana (scodelle carenate e kantharoi); frammenti di arule e terrecotte architettoniche; pochi frammenti di coroplastica; alcune monete bronzee.
L’analisi dei materiali fa ipotizzare l’esistenza di un luogo di culto a partire dal VII secolo a.C., che avrebbe avuto particolare rilevanza nel corso del III secolo e successivamente ristrutturato in età romana, mentre il Santuario sarebbe stato in stato di abbandono all’epoca dell’eruzione del 79 d.C.