Ecco come si lavoravano le pelli a Pompei: la conceria tornerà visitabile in stile “museo diffuso”
POMPEI. Il progetto di restauro e rivitalizzazione di una conceria di Pompei con la sponsorizzazione dell’Unione Nazionale Industria Conciaria (Unic) chiarirà i segreti di un mestiere praticato diffusamente nell’antica Pompei: quello della concia delle pelli, che ai giorni nostri riguarda tutto il territorio vesuviano-sarnese.
Le prime indagini di settore sono anteriori al 2008 e sono basate su una serie di campagne di scavo, condotte dal Centre Jean Berard, con il recupero di elementi riguardanti la costruzione di un complesso abitativo-conciario fra i più antichi del mondo, sito a Pompei, in prossimità di Porta Stabia, nel quartiere dei teatri (Regione I, Insula 5) già sottoposto ad un primo intervento di restauro, sempre con convenzione Unic.
Scoperta tra il 1873-74, la conceria fu scavata integralmente da Amedeo Maiuri negli anni ’50 del secolo scorso. L’impianto da valorizzare nei prossimi mesi fu installato intorno alla metà del I secolo d.C. sui resti di un’abitazione precedente. Dopo il terremoto del 62 d.C. l’impianto artigianale fu ristrutturato nello stato attuale assumendo maggiore funzionalità.
L’edificio prevedeva l’abitazione del dominus oltre agli ambienti destinati alle lavorazioni della pelle, come il porticato diviso in sei scompartimenti, separati da cinque tramezzi, in 3 dei quali è murata la conduttura che portava acqua alle giare.
Nella zona retrostante si trovano 15 vasche circolari in muratura, rivestite di cocciopesto, con foro di carico e scarico. Dodici di esse venivano usate per la concia al vegetale di pelli grandi e 3 per quella all’allume di rocca di pelli piccole. Sotto il portico centrale si praticava lo scuoio dell’animale, poi seguita dall’immersione nei tini. Qui le pelli venivano trattate con il tannino.
Al livello superiore del primo ambiente c’era presumibilmente uno stenditoio per asciugare le pelli. Le diverse operazioni di cui si compone il processo di lavorazione delle pelli venivano espletate in settori funzionalmente distinti dell’edificio: il lavaggio del pellame, che richiedeva l’impiego di sostanze maleodoranti, veniva effettuato all’interno dei dolia alimentati d’acqua sotto il porticato o, forse, lontano dal complesso, sulle rive del Sarno.
La concia vera e propria con la macerazione delle pelli avveniva, invece, all’interno delle 15 grandi vasche cilindriche conservatesi in uno degli ambienti dell’edificio. Infine, le pelli venivano battute al di sotto dell’area porticata e lavorate nei piccoli ambienti che si susseguono sul lato est del peristilio, divisi tra loro da bassi muretti trasversali.
Addossato al muro ovest del peristilio si trova anche un ampio triclinio estivo destinato agli ospiti del coriarius (titolare dell’attività), che all’interno del complesso aveva la sua residenza. Sul fondo del cortile si trova un triclinio con una tavola centrale decorata da un mosaico, conservato al Museo Archeologico di Napoli (Mann), che rappresenta un teschio e gli strumenti da muratore.
I resti di quella costruzione, insieme con il gran numero di attrezzi del mestiere della concia, indicano la presenza di un artigianato durato due millenni fino al salto industriale tipico della produzione attuale di pelli.
Il progetto di restauro e valorizzazione prevede la riapertura al pubblico dell’intero complesso col modello di “museo diffuso”, già sperimentato positivamente a Pompei, con il restauro e il riallestimento con vetrine espositive e supporti multimediali, degli spazi adibiti alla lavorazione delle pelli, al fine di consentire l’apprendimento dell’antico processo di lavorazione delle pelli.
Sarà risistemato anche il cosiddetto vicolo del Conciapelli. È prevista la consegna di cantiere nel corso del 2019 con la sistemazione della strada di accesso alla conceria, bombardata nel 1943. Il contratto di sponsorizzazione fissa il finanziamento a 161.550 euro oltre Iva.