Moda, le farfalle tornano protagoniste della primavera-estate: intervista allo stilista Nino Lettieri
Abiti e gioielli: la tendenza del momento firmata dallo stilista pompeiano e dalla gioielleria Lina Vitiello
POMPEI. Una moltitudine di farfalle variopinte e volteggianti, durante la prossima primavera che ormai è alle porte, sta per invadere le nostre strade, ma prima di tutto i nostri guardaroba e i nostri scrigni. A “liberarle”, per donare nuova fantasia e ricercata eleganza al nostro modo di vestire, è stato lo stilista pompeiano Nino Lettieri, che per la sua collezione primavera-estate 2018, presentata in anteprima a gennaio ad Altaroma, si è lasciato ispirare proprio dalla meraviglia di un insetto unico e raffinato come la farfalla. Una creatura talmente aggraziata che, grazie alla proficua partnership tra lo stilista e la gioielleria Lina Vitiello di Pompei, è diventata il soggetto di una linea di gioielli destinata a diventare un vero “must” per i prossimi mesi.
Abbiamo chiesto a Nino Lettieri, che si è lasciato affascinare da questo splendido insetto, com’è nata l’ispirazione al volo delle farfalle?
«La farfalla è un insetto che mi ha sempre affascinato sin dall’infanzia. Ricordo che prima i nostri giardini ne erano pieni, per cui mi piaceva l’idea di proporre questo insetto che già di per sé ha una storia abbastanza singolare, perché compie una metamorfosi. Nasce bruco, poi diventa farfalla. Ma la cosa divertente è che guardando un documentario sulla natura, vidi che parlavano di questo paese giapponese che è Hida, che ha queste vallate e colline verdeggianti, dove ancora esistono centinaia di migliaia di farfalle. Nonostante sia in Giappone, dove ci sono città come Tokyo, Kyoto, città iperinquinate dallo smog e dalla civiltà moderna e tecnologica, questo paesino è rimasto incontaminato e qui le farfalle hanno ancora la loro vita naturale. Quella che mi ha ricordato di più la mia infanzia è la leuconia, bianca con i puntini neri, che trovavamo una volta e che forse, nelle campagne toscane o pugliesi, circondate ancora dalla natura, nel periodo di primavera-estate, quando ci sono i papaveri e le margherite gialle, troviamo ancora».
È così che nascono le sue creazioni?
«Succede sempre così, prendo un soggetto di ispirazione e poi lo faccio mio, sotto un profilo grafico, e lo elaboro attraverso i vari canali che sono i tessuti, i ricami, le tecniche di sovrapposizione, i pizzi. Quindi i miei fornitori elaborano le bozze grafiche che io sviluppo sui vari tessuti, solitamente impalpabili, come lo chiffon, le organze: tutti tessuti trasparenti o semitrasparenti e dove, in questo caso, un volo di farfalle stampato, ha proprio un effetto naturale. Nel momento in cui la modella sulla passerella fa “svolazzare” questo abito di chiffon, sembra di vedere una farfalla che prende vita. Sono rappresentati degli sciami di farfalle, proprio perché volevo dare l’idea di un insetto in movimento».
L’idea si è dunque rivelata vincente…
«Non sono stato il primo perché prima di me hanno proposta una farfalla Valentino, Dolce & Gabbana, però non nel modo in cui l’ho fatta io: quindi ho aspettato il momento opportuno che nessuno la usasse perché io fossi l’unico ed è stato un successo, perché adesso le farfalle che si vedranno da qui a venire saranno un seguito di quello che è stata la mia sfilata».
Spesso la natura l’ha ispirata nell’elaborazione delle sue collezioni, cui spesso ha associato anche messaggi d’impatto sociale.
«Sì, quando cercai l’ispirazione dall’India, invece di fare i soliti disegni su cui altri marchi hanno fatto la loro fortuna, sono andato a pescare l’animale praticamente più importante dell’India, che è l’elefante. Nella cultura del posto è un compagno di vita, in India è un animale indispensabile per il commercio. Da noi occidentali l’elefante è un portafortuna, è un animale buffo, divertente, nonostante la sua grande mole. A questa idea associai anche il discorso della sensibilizzazione contro la caccia all’elefante. E quindi racchiusi in questo animale diverse tematiche che furono accolte molto bene dalla stampa».
L’ispirazione è tutto ed i soggetti naturali hanno avuto successo anche in altri casi: ci racconta com’è andata nel 2012?
«Quando presento una collezione di alta moda che è sotto i riflettori internazionali, come è Altaroma, vado a portare in passerella qualcosa che proviene dal mio istinto e mi metto sempre in discussione. Perché lo stilista non segue una tendenza, ma la crea. Ad esempio portai in passerella la foglia di una pianta che si chiama monstera, che fino agli anni Settanta era molto diffusa come regalo. Una pianta che era stata abbandonata, proprio dimenticata. Quando decisi di fare una stampa floreale, pensai a questa foglia perché nessuno mai l’aveva portata sulla passerella. Dopo quella volta, nel 2012, questa foglia è ritornata d’attualità, non solo nella moda, ma tra i fioristi, che l’hanno rimessa in gioco nelle composizioni. Gli interior designer realizzarono poltrone, paraventi in metallo e addirittura la carta da parati ispirata a questa foglia».
Tante volte, invece, gli stilisti si sono ispirati a Pompei per le loro collezione. L’ha fatto anche lei, più di una volta, ma sempre in modo molto originale e diverso dagli altri.
«Nel 2014 ho dedicato una collezione a Pompei, però non come hanno fatto tanti miei altri colleghi portando in passerella gli affreschi del sito archeologico. Già prima di me, trenta-quaranta anni fa, i grandi nomi della moda avevano usato largamente quelli che erano i pavimenti e le pareti di Pompei. Quindi cosa feci? Da un pavimento tirai fuori un’unica piastrella e da lì l’ho elaborata come mi piace fare. Quindi quello che poi è diventato una sorta di emblema è venuto fuori da un mosaico di Pompei, ma per chi non conosce la città antica, non si tratta di un lettura immediata. Non si trattava di affreschi famosi, ma di un particolare. Il mosaico si evinceva solo nella parte più ampia di un abito. Però comunque è stata una collezione dedicata a Pompei, perché è stata quella l’ispirazione a monte. Il tessuto è stato traforato al laser, poi è diventato anche bijoux. Anche quest’anno con la gioielleria Lina Vitiello abbiamo cercato di fare una linea di gioielli ispirati alla farfalla».
Come è nata la partnership con la gioielleria Lina Vitiello?
«Quando ho realizzato la collezione ispirata agli elefanti, realizzammo anche i bijoux, i grandi ciondoli a forma di questo elefante di cui avevo fatto la stampa, già allora pensammo di realizzarne un gioiello, ma tralasciammo per una questione di tempistica. Quando ho cominciato a pensare all’ultima collezione delle farfalle, ci siamo incontrati con Roberto Petraccone, designer della gioielleria Vitiello, ed abbiamo pensato di realizzare questo pendente anche sotto forma di orecchini, della stessa farfalla che è riproposta in stampa sui vestiti. Quindi abbiamo studiato la grafica, la dimensione, il metallo nobile da utilizzare. A breve questo gioiello sarà in distribuzione con la linea disegnata by Nino Lettieri. Da qui credo che nascerà un discorso continuativo per quanto riguarda poi la creazione di una linea di gioielli per Lina Vitiello by Nino Lettieri, non per forza legati ad una collezione. Questo è stato il “via”, un input per cominciare un rapporto di partnership. Infatti adesso studieremo la campagna pubblicitaria, affinché il gioiello, in questo caso la farfalla, sia presentato in una maniera molto elegante e rispecchi l’immagine delle nostre aziende: perché la gioielleria Vitiello non è importante solo per la città di Pompei, ma è un marchio conosciuto anche in Italia e in Europa ».
Lei è un esempio di successo nel campo della moda. Cosa consiglierebbe ai giovani che oggi vogliono entrare in questo mondo?
«Io sono docente in alcune accademie di moda napoletane ed anche romane, dove interagisco con degli alunni o con persone di una certa età che si affacciano al mondo della moda e naturalmente il primo consiglio che do è che chi sceglie questo percorso deve essere consapevole di essere all’altezza di fare questo lavoro. Molti scelgono di fare moda, solo perché è un mondo affascinante, patinato e poi ci sono le conseguenze negative perché non si è portati per questo mondo, non si è creativi. Non emergono talenti proprio perché non c’è rispetto verso questa professione. Quindi quello che dico è che se uno ha talento, lo si vede. E se questa persona veramente è talentuosa, deve studiare e deve lavorare con grande umiltà, ascoltare, guardare chi ha già avuto esperienze e farle proprie… è un lavoro in cui non si finisce mai di imparare. A volte vedo ragazzi che finiscono la scuola, hanno a disposizione un piccolo capitale, iniziano subito a creare una collezione per fare una sfilata, ma non hanno niente da dire, sono momenti creativi che poi passano, perché non sono costruttivi, non hanno fondamenta. Prima di fare quel passo, bisogna fare la gavetta, perché quella è una cosa fondamentale. Fare molta esperienza, sbagliare, ricominciare, finché si è padroni del proprio lavoro e si ha qualcosa da dire che qualcuno non ha detto già. Io ho avuto la fortuna di nascere e crescere in una sartoria, quella di mia madre, quindi io sono figlio d’arte e di conseguenza ho avuto più fortuna di qualcun altro. Però la creatività è un dono. Se hai delle idee ma non sai disegnare, il disegno si può imparare. La tecnica si può acquisire, questo si può fare. Ma è la creatività che fa la differenza. Per fortuna le cose stanno cambiando, perché nelle accademie di moda molti prendono l’indirizzo giornalismo della moda, critico di moda, stylist… Ci sono tanti rami, perché hanno capito che fare lo stilista non è tanto facile, perché creare un abito non vuol dire soltanto esprimersi e mettere sulla carta un’idea che si ha in testa. Bisogna anche viverlo quell’abito: bisogna fare un abito bello, d’impatto sulla sfilata, ma che poi sia vendibile, altrimenti poi rimane un sogno e basta. Fare moda non significa fare lo solo stilista, bisogna essere anche imprenditori di moda».