Il vino nell’antica Pompei: bevanda “di piacere” ma anche “medicina” per i malanni

POMPEI. Il vino può essere considerato un vero e proprio simbolo della Pompei di duemila anni fa. La coltivazione della vite era ampiamente diffusa in città come in campagna e, insieme alla produzione del garum, costituiva – come emerge dagli studi della Soprintendenza di Pompei – una delle principali attività dell’area vesuviana.

I numerosi ritrovamenti di impianti per la trasformazione dei prodotti (celle vinarie, doli, torchi, anfore, nonché legni e grappoli d’uva carbonizzati) confermano le informazioni tramandateci dagli autori classici, che sottolineavano la bontà dei vini locali.

Nella stessa iconografia l’importanza della coltura della vite era grandemente esaltata: alle scene celebrative, come i cicli degli Amorini vendemmiatori o l’affresco rinvenuto nella Casa del Centenario, e a quelle simboliche, in cui la vite veniva messa in relazione con i riti dionisiaci, si sommano un gran numero di raffigurazioni degli stessi grappoli illustrati nelle più diverse varietà, informazione, questa, di grande interesse per la storia stessa della viticoltura.

I dati di scavo mostrano, inoltre, come le stesse tecniche colturali seguissero quelle che erano le norme codificate in Plinio e Columella: la disposizione ed il loro orientamento, nonché l’allevamento a filare o a tendone, per le colture indotte nei luoghi più asciutti o lungo la fascia collinare e, viceversa, la tecnica di legare le viti ai pioppi e agli olmi nei luoghi più bassi, per permettere al grappolo di maturare più facilmente lontano all’umidità ristagnate del terreno.

Era questa una tecnica ancora in uso in area vesuviana ai primi tempi dello scavo e sopravvive solo in alcune zone del Casertano. Alla raccolta dell’uva seguivano i processi per la vinificazione, che prevedevano la pigiatura e la prima torchiatura (che fornivano il vino migliore) ed ulteriori torchiature (con cui si ottenevano vini di seconda e terza qualità).

Il mosto veniva fatto, poi, fermentare in doli interrati: a fermentazione conclusa, il vino veniva travasato in anfore a conservato in cantina. Il vino, però, non era solo bevanda di piacere.

Esso, infatti, era un importantissimo costituente di base dei cosiddetti “vini medicati”: di quei vini, cioè, che, a seconda del principio attivo dell’essenza messa a macerare in esso, costituiva un medicamento da tenere nella farmacia di casa per curare malanni passeggeri come mal di stomaco, tosse o insonnia.

Questa pratica, in realtà, dimostra come in maniera intuitiva si fosse arrivati alla conoscenza della capacità estrattiva dell’alcool, anche se la natura di quest’ultima sostanza rimaneva ovviamente sconosciuta.

Redazione Made in Pompei

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Made in Pompei è una rivista mensile di promozione territoriale e di informazione culturale fondata nel 2010.

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