Pompei, il restauro dei calchi delle vittime dell’eruzione vesuviana del 79 d.C.
La famiglia della Casa del Bracciale d’Oro, la mamma che muore insieme con il piccolino seduto sul suo grembo, un uomo ed un altro bambino, forse di due anni, vittime dell’eruzione del Vesuvio nell’antica Pompei. Sono le scene più strazianti degli 86 calchi restaurati, 20 dei quali sono stati esposti nell’Anfiteatro, nella sezione “Rapiti alla morte” della mostra “Pompei e l’Europa”.
Hanno denti che sporgono tra le labbra stirate dalla sofferenza e sotto la cenere incrostata sulla pelle, sporgono crani, tibie, mandibole di uomini e donne colti nell’estremo istante della morte.
Quando, cioè, nella seconda fase della devastante eruzione del Vesuvio del 79 d.C., una nube ardente della temperatura di 300 gradi bruciò in un sol colpo la superficie dei corpi, lasciando le interiora molli, e poi li seppellì di cenere e lapilli.
I corpi furono riportati alla luce nel 1863 dall’archeologo Giuseppe Fiorelli, che ideò la tecnica con cui rilevare i calchi delle vittime dell’eruzione, per estrarli intatti dagli scavi.
«Finora non erano stati censiti, per un sentimento etico con il quale sono stati sempre trattati questi resti umani. Non sono statue di gesso né bronzi, ma persone vere e con rispetto vanno trattate» dice il soprintendente archeologico di Pompei, Massimo Osanna, che ha voluto una mostra di sole vittime umane.
«Abbiamo voluto realizzare – aggiunge – un restauro per la conservazione e la conoscenza. Vi operano archeologi, restauratori, radiologi, ingegneri per rilievi scanner-laser e un antropologo per delineare un profilo bio antropologico e genetico individuale di ognuna delle vittime, per conoscerne il Dna e accomunarle per famiglie, per capire se fossero schiavi ed il loro modo di vivere».
Accanto al laboratorio di restauro nell’Insula occidentalis (nella Casa del Bracciale d’oro e in quella di Fabio Rufo), altri cantieri operano nell’Orto dei Fuggiaschi e nei pressi di Porta Nocera.
Al termine del restauro, immagini e conoscenze acquisite dai ricercatori diverranno oggetto di una pubblicazione e di un documentario a cura della società di restauro Atramentum di Salerno. Per la Soprintendenza il restauro è diretto da Stefano Vanacore.
Accanto al laboratorio della Casa del Bracciale d’Oro, due stampanti 3D di ultima generazione lavorano costantemente per riprodurre in scala originale (1:1) 10 calchi studiati con rilevatore laser, che andranno a far parte di una serie di mostre itineranti all’estero.