Curiosità linguistiche: mettiamo i puntini sulle “i”!
di Carlo Iandolo
POMPEI. È di scena la vocale “i – I”, soggetta a una famosa espressione (“Mettere i puntini sulle o sugli i”), che richiede approfondimenti. Nel Medioevo non si usava il puntino sovrapposto, di modo l’unione con la consonante “n” poteva creare un’evidente confusione: si trattava di “m” oppure di “in, ni, iu, ui”?
Come immediata riprova di tale erronea confusione citiamo la nascita involontaria di due parole ancóra in uso: “collineare, colliniare = porre sulla stessa linea” dette “collimare”, come l’arabo “samt-azimut = cammino, via” dette “zenit”. Di conseguenza si comprese ben presto la necessità di soprannotare il puntino, a proposito della vocale “i”.
Tuttavia occorre un’immediata smentita a questa regola che non è assoluta: c’è un solo caso in cui tale precisione ortografica non va rispettata. Ne fa fede la “I” maiuscola in stampatello e nella grafia amanuense, che rinunzia sempre al puntino.
Tale caratteristica eccezionale c’induce a rilevare un ingenuo errore commesso da Guido Gozzano (ma ai poeti tutto è concesso), che ricorre a un’immagine liricamente plastica e felice ma ortograficamente sbagliata quando canta che «La luna sopra il campanile / parea un punto sopra un I gigante».
Ancóra “m – n” sono protagoniste di certe confusioni createsi ora in base a erronee letture nel periodo medievale, ora per effetto di probabili dissimilazioni: ecco il provenzale “cazerna” divenire “caserma”, “mappa = tovaglia” passare a “nappa = fiocco”; cosí “mitulus”, attraverso l’Accusativo “mitulu-m”, si cela nel sottofondo d’avvio di “nicchio” e “milvus = uccello rapace”, mediante la forma diminutiva “milvulu-m”, ha generato “nibbio”.
Del resto, già nel passato “m” aveva dato segni d’insofferenza e mostrato la sua disponibilità a sostituire “b” in forme alternative: “cubitu-m” foriero di “cubito e gomito”, ed ecco il celebre Bastione nella piazza municipale di Napoli che, tramite le evoluzioni di “*bastulus/*mastulus”, ha assunto la denominazione di “Maschio Angioino”.
Taluni lemmi appartenenti alla stessa famiglia mostrano l’alternanza fra le vocali “i-u”, come già nel latino “Sulla-Silla, maxumus-maximus”: ecco coppie di lemmi risalenti alla stessa famiglia linguistica (“dipingere – pungere, limaccia – lumaca, sibilare – zufolare”), accanto ad altre del tutto equivalenti: “spruzzare – sprizzare, strisciare – strusciare, suggello – sigillo, ventilare – ventolare (da un precedente *ventulare)”.
Son sotto inchiesta, invece, altre due espressioni particolari: perché si dice “Non capire un ette” (equivalente a “non capire un’acca”) e – in un passato piú remoto – “Sapere il conne e il ronne d’una cosa” (ossia conoscere tutto)? Si tratta di tre sigle latine che nel Medioevo furono segnate con “et, ç (“c” con la pipa), 9” e furono rispettivamente denominate “ette, conne, ronne” per indicare la congiunzione copulativa “e”, la preposizione “cum” e la desinenza “-rum” del Genitivo plurale.
Quindi l’alfabeto in quei tempi lontani (e fino a tardi) ebbe tre segni in piú dopo la “zeta”: infatti, invece di usare l’espressione moderna “dall’A alla Zeta”, si diceva “dall’A al Ronne”, come confermano anche due versi del poeta G. B. Fagiuoli (1660-1742): «Per mostrar certi che dall’A al Ronne / hanno studiato e sanno di moltissimo».